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Don Milani. La vita di Mario Lancisi - prefazione
di Luigi Ciotti
Una biografia controcorrente
Perché premier di governo, cardinali, ministri e leader politici
sono attratti dal mito di don Milani?
Da Veltroni a Bertinotti, dal
ministro Fioroni al cardinale Antonelli, in molti salgono a Barbiana,
un grumo di case e una chiesetta nel Mugello,
dove operò don Lorenzo Milani. Umili visitatori ma anche premier
di governo, cardinali, ministri, leader politici, intellettuali.
Al priore di Barbiana si è rifatta sia la riforma della scuola
del ministro ulivista Luigi Berlinguer che quella della polista Letizia
Moratti.
Il prete scomodo e esiliato nel 1954 dalla Chiesa fiorentina
ha preso la sua rivincita? Da eretico a santo?
A 40 anni dalla morte
di don Lorenzo Milani (26 giugno 1967) e dell’uscita
di Lettera a una professoressa (maggio 1967), Mario Lancisi cerca
di dare una risposta a questa domanda in Don Milani. Una vita, Piemme,
con prefazione di don Luigi Ciotti, la più documentata
e aggiornata biografia sul priore di Barbiana.
Utilizzando testimonianze inedite e studi poco conosciuti, Lancisi
focalizza aspetti nuovi o trascurati della vita di don Milani.
1. La
morte. Tutti gli scritti tendono a sorvolare sulla fine del priore.
L’ultimo mese di vita del
priore è stato invece fondamentale. Don Lorenzo offrì il
suo corpo malato e agonizzante come lezione di vita. Ai suoi
ragazzi disse che avrebbe potuto prendere un infermiere, ma preferiva
farsi
assistere da loro perché imparassero cosa è la
morte, come muore un uomo. Due giorni prima di morire chiamò i
ragazzi attorno al suo letto di morte. e disse loro “Ragazzi,
un grande miracolo sta avvenendo in questa stanza. Un cammello
che passa nella
cruna di un ago”. Il 26 giugno don Lorenzo morì. In
quelle ultime parole il priore offrì la chiave interprativa
per capire la sua vita. “Si muore nello stesso modo
in cui siamo vissuti”, confidò don Lorenzo a Edoardo
Martinelli, uno dei suoi ragazzi. La morte svela la vita. L’agonizzante
priore scelse la parabola del cammello che passa dalla cruna
dell’ago
per dare il senso dei suoi 44 anni.
2. Gli anni giovanili. E’ stato
scritto che a 20 anni don Milani si convertì e si fece
sacerdote compiendo una cesura netta con il suo mondo di appartenenza – ricco,
ateo e colto -. Una sorta di san Paolo sulla via di Damasco. “Si è molto
discusso se la sua conversione sia stata un’irruzione
repentina, improvvisa e misteriosa nel mondo della fede, o non
piuttosto il frutto
di una maturazione lenta, progressiva. Sono molti gli indizi
che sembrano far propendere per la seconda ipotesi, nel senso
che Lorenzo fin da
ragazzo si distinse per una certa irrequietezza nei confronti
del proprio mondo borghese e per una spiccata sensibilità verso
i poveri e i più deboli”, scrive Lancisi. Che nel
suo libro riporta diverse testimonianze di giovani che lo hanno
frequentato nei suoi
soggiorni a villa “Gigliola”, a Montespertoli, dove
il futuro priore di Barbiana trascorse la sua adolescenza..
Il
ritratto
che ne scaturisce è quello di un Lorenzo a disagio con
il suo mondo di appartenenza e, in qualche misura, già proiettato
verso la scelta dei poveri, che caratterizzerà la sua
esperienza sacerdotale.
Franco Bini, che abitava a poche decine di metri dalla
villa dei Milani, racconta ad esempio che spesso gli capitava
di vedere il “signorino” Lorenzo
(come veniva chiamato dalla gente di Montespertoli) davanti al
cavalletto a dipingere. “Ho assistito alla scelta drastica
di Lorenzo di lasciare il benessere per la povertà proprio
nella biblioteca della “Gigliola”, quando disse alla
mamma Alice: ‘Io
vado a stare con i poveri’”, racconta Bini.
E Liliana
Paciscopi ricorda: “Lorenzo era buono, mi voleva sempre
dare qualcosa, soprattutto i suoi balocchi. Ha cominciato a venire
da noi quando era un giovanottino, avrà avuto 15-16 anni.
Forse è stato
nel vedere tanta miseria che in seguito ha scelto di fare una
vita così meschina, fino a ridursi che sembrava un mendicante.
La signora Alice s’arrabbiava: ‘Gli si manda i soldi
per custodirsi e lui li dà ai poveri!’.
3.Il rapporto con la Chiesa. Attingendo a fonti poco conosciute,
come un bel libro di Massimo Toschi (Don Milani e la Chiesa,
Polistampa), che ha potuto visionare i diari del cardinale Ermenegildo
Florit,
ho
cercato di ricostruire meglio i rapporti tra il priore di Barbiana
e la sua Chiesa. Quello che emerge è un rapporto ad un duplice
livello. Di estrema chiusura a livello fiorentino: Florit non capì don
Milani. Tra loro due ci fu un muro. Ma anche un rapporto di comprensione
a livello vaticano, dove Giovanni XXIII e Paolo VI guardarono con una
certa simpatia, anche grazie alla mediazione di mons. Loris Capovilla,
segretario di Roncalli, al giovane prete toscano. Successe così che
mentre Florit minacciò di sospendere a divinis don Milani, Paolo
VI si preoccupò di fargli avere soldi e cure per la grave malattia
che lo condurrà alla tomba.
Quarant’anni dopo l’attuale cardinale di Firenze Ennio
Antonelli, il prossimo 26 giugno, salirà a Barbiana a celebrare
messa sulla tomba del priore. Non più “eretico” ma “santo”.
E’ il
segno di riconoscimento che don Lorenzo tanto attese in vita.
Scheda
di presentazione
Qualche domanda a: Mario
Lancisi