Il fasto
e la ragione - Arte
del Settecento a Firenze
30 maggio – Prorogata al
13 dicembre
2009
alla
Galleria degli Uffizi
©www.zoomedia.it - vanna innocenti 29 maggio
2009
‘Il fasto e la ragione. Arte del Settecento a Firenze’.
Uno
dei pannelli dell'allestimento che preparano l'ingresso alla motra.
Dal 29 maggio 2009, "nelle sale espositive
della Galleria degli Uffizi, la mostra ‘Il fasto e la ragione.
Arte del Settecento a Firenze’: un itinerario di storia
e di gusto attraverso il secolo che vide la fine della dinastia medicea
e l’affacciarsi
della città alla cultura dell’Illuminismo. E’ un’occasione
preziosa per scoprire, attraverso l’esibizione di opere in parte
inedite, provenienti da musei e collezioni italiane e straniere, un’epoca
della civiltà fiorentina che, messa a fuoco per la prima volta nella
mostra Gli ultimi Medici del 1974, viene oggi ripercorsa comprendendo,
fra il ‘fasto’ del gusto tardobarocco e la ‘ragione’ che
determinò gli esiti del Neoclassicismo, tutte le manifestazioni
artistiche alimentate dalle committenze granducali - medicee prima lorenesi
poi - ma anche dall’ingegno di raffinati ‘intendenti’ i
quali rinnovarono l’immagine di Firenze allineandola agli indirizzi
culturali ed estetici dell’Europa illuminista.
L’ampiezza degli
studi fin qui condotti sull’arte toscana del XVIII secolo e le
esposizioni organizzate nel tempo su specifici aspetti dell’arte
settecentesca – ultima,
in ordine di tempo, la mostra Arte
e Manifattura di corte a Firenze dal tramonto dei Medici all’Impero,
tenutasi a Palazzo Pitti nel 2006 - consentono oggi di attingere ad una
ricca messe di materiali e di testimonianze
in grado di dimostrare che anche nel Settecento Firenze mantenne una
posizione di notevole prestigio all’interno del panorama dell’arte
italiana, continuando a manifestare la sua vocazione di città aperta
ai contributi dei ‘forestieri’ e alle occasioni del grand
tour.
La mostra, curata da Carlo Sisi e Riccardo Spinelli, promossa
dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali con la Direzione
Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana, la Soprintendenza
Speciale per
il Polo Museale Fiorentino, la Galleria degli Uffizi, Firenze Musei e l’Ente
Cassa di Risparmio di Firenze, con oltre 140 opere esposte tra dipinti, sculture,
oggetti d’arte e arredi sacri e profani, rappresenta quindi la prima
organica rassegna dei principali eventi artistici del Settecento a Firenze.
Ordinata in nove sezioni – La fastosa eredità del Barocco
mediceo, I maestri della nuova generazione, Gli ‘stranieri’ a
Firenze e il rinnovamento dei generi, Mitologia e storia al filtro del
gusto rococò,
Nuove prospettive della pittura di storia e dell’arte sacra, Bizzarrie
e galanterie nel secolo dei Lumi, Il paesaggio fra memoria e visione oggettiva,
Ideale classico e cultura illuministica nella Firenze di Pietro Leopoldo,
Il neoclassicismo internazionale di fine secolo - la mostra vuole
riassumere, attraverso una scelta di opere fondamentali per qualità e
importanza, i fatti salienti dell’intero secolo e i temi figurativi
che, in un intreccio di grande suggestione, contribuirono al rinnovamento
dei generi
e all’aggiornamento
del dibattito artistico.
La fase tardobarocca corrisponde agli anni di regno
di Cosimo III che, grazie soprattutto al mecenatismo artistico del suo
primogenito, il Gran
Principe
Ferdinando, darà impulso ad una stagione figurativa di grande
livello, apprezzata in tutta Europa per il fasto e la qualità dei
suoi manufatti. Debuttano infatti ad inizio secolo pittori originali
come Francesco Conti,
Giovan Domenico Ferretti, Matteo Bonechi e Ranieri Del Pace; insieme
a loro gli scultori Giovacchino Fortini e Agostino Cornacchini ed eccellenti
artefici
legati alle rinomatissime ‘botteghe di Galleria’.
Ferdinando,
premorto al padre, fu un mecenate “totale”, i cui interessi
spaziarono anche in campo musicale e teatrale. Su suo invito giunsero
a Firenze artisti che, sotto l’accorta regia del principe e dell’aristocrazia
legata alla corte, produssero alcuni dei loro capolavori. Tra questi
basti ricordare, agli inizi del Settecento, il veneto Sebastiano Ricci
(1659-1734),
il bolognese Giuseppe Maria Crespi (1665-1747) ed il genovese Alessandro
Magnasco (1667-1749), i quali introdussero a Firenze le declinazioni
regionali di uno
stile che, dalla matrice barocca, stava evolvendo verso le molteplici
manifestazioni del gusto rococò.
La preferenza del gran principe
Ferdinando per i temi profani, mitologici e allegorici, e per i moderni
generi artistici, fece da viatico all’affermazione
di questa tendenza innovativa, bene espressa dai numerosi soffitti
affrescati nelle residenze granducali, nei palazzi e nelle ville
dell’aristocrazia
fiorentina (documentati in mostra dai bozzetti preparatori di Ferretti,
Bonechi, Gabbiani, Sagrestani), dai dipinti “da quadreria”,
da sculture in marmo, terracotta e bronzo di medio e piccolo formato
d’incomparabile
bellezza e di gusto pienamente internazionale, quello che sarà veicolato
in Europa dalle traduzioni in porcellana dalla Manifattura Ginori
di Doccia. E proprio nel campo della scultura – settore artistico
particolarmente privilegiato nel Settecento a Firenze – continuano
ad operare, soprattutto nella bronzistica di piccolo e medio formato
e nella medaglistica, notevoli
personalità come Giovanni Battista Foggini e Massimiliano
Soldani Benzi, il cui straordinario successo avrà riscontri
nel gradimento dimostrato dalle corti europee e dai principali collezionisti
del tempo
che si assicureranno
molte loro opere, proseguendo così una tradizione illustre
iniziata già nel Cinquecento con Giambologna.
Le presenze straniere
introdotte a Firenze dal Gran Principe Ferdinando ebbero un impatto
duraturo sugli artisti locali: le eloquenti composizioni
di storia
dipinte da Sebastiano Ricci a Palazzo Marucelli Fenzi furono d’esempio
per Giovanni Domenico Ferretti, per il giovanissimo Giuseppe Zocchi
ed anche per il Foggini; mentre nel campo della pittura di soggetto
sacro, grande importanza
vennero ad avere, tra il secondo e il sesto decennio del Settecento,
le luminose e languide trattazioni di temi quali l’estasi e
il martirio proposte da Ferretti e da Conti.
Un capitolo a parte,
nell’ambito dell’arte
sacra di questo periodo, è rappresentato da due raffigurazioni
che erano state care alla devozione e alla spiritualità di
Cosimo III: il Transito di san Giuseppe - assurto a
patrono della Toscana nel 1719 - presente in mostra
nelle versioni realizzate dal marattesco Anton Domenico Gabbiani,
dall’eccentrico
Ranieri Del Pace e, in scultura, da Massimiliano Soldani Benzi
(con una delle sue massime prove); e il Compianto sul corpo
di Cristo,
che vede messe a confronto
le scene dipinte da Giovanni Camillo Sagrestani e da Francesco
Conti, insieme alle interpretazioni fornite da Massimiliano Soldani
Benzi
in cera, in bronzo
e in porcellana di Doccia, opere affiancate per la prima volta
in un dialogo emotivamente serrato ed eloquente.
La vena scherzosa
e ironica, popolare e stracciona che era stata
peculiare di un preciso indirizzo della cultura figurativa seicentesca
toscana,
trovando interpreti d’eccezione in Jacques Callot, in Giovanni
da San Giovanni e in Baccio del Bianco, non si esaurì in
quel secolo ma ebbe grande fortuna anche nella Firenze del Settecento
grazie al rinnovamento di questo
filone operato dal genovese Alessandro Magnasco. Dalla metà del
XVIII secolo, per mano del brioso e scanzonato Giovanni Domenico
Ferretti, questo
gusto si orienterà verso temi moderni e alla moda, che
troveranno nella rappresentazione di arlecchinate e di mascherate
una feconda risorsa espressiva.
Fra i generi che presero campo
già nei primi anni del Settecento emerge
il Vedutismo, fenomeno legato alla nascente voga del grand
tour e alla centralità di
Firenze quale tappa obbligata del viaggio in Italia: indirizzo
che trova in Gaspare Vanvitelli e, dalla metà del secolo,
nel veneto Bernardo Bellotto, nell’inglese naturalizzato
Thomas Patch e nel fiorentino Giuseppe Zocchi, artisti versatili
in pittura come nell’incisione e capaci di soddisfare
le esigenze di documentazione e di memoria dei luoghi della città e
della regione, visitati dai gentiluomini europei durante la loro
permanenza in Toscana: un’occasione per conoscere direttamente
i capolavori dell’arte
ma anche per rifornirsi di oggetti rari e preziosi, come quelli
prodotti dall’Opificio
delle Pietre Dure.
Giunto a Firenze nel 1765, il granduca Pietro
Leopoldo d’Asburgo Lorena
dimostrò subito il suo impegno nei confronti delle riforme
e del progresso istituendo l’Accademia di Belle Arti (1785),
che venne organizzata sull’esempio
dei più illustri modelli italiani ed europei.
Nel segno
della recuperata vitalità dell’ideale classico – che
la pittura di Pompeo Batoni sosteneva allora in maniera esemplare
e al più alto grado – gli
artisti fiorentini si adegueranno ai canoni del Neoclassicismo
introdotto nelle aule accademiche dall’insegnamento di
Pietro Pedroni, già pensionato
a Roma e poi pittore di corte dal 1781, e da quello di Innocenzo
Spinazzi, la cui esperienza romana portò a Firenze la
cultura dell’antico
e gli aggiornamenti sul dibattito estetico acceso intorno alle
teorie di Winckelmann e di Mengs.
Il granduca apre cantieri di
grande respiro, nella reggia di Pitti,
al Poggio Imperiale e agli Uffizi, offrendo così molte
occasioni di lavoro a pittori e scultori di nuova generazione
come Francesco Carradori che,
insieme agli Albertolli e a Tommaso Gherardini, collaborò al
partito ornamentale della Sala della Niobe agli Uffizi, dimostrando
di saper contemperare
la propria formazione classica con il delicato naturalismo della
tradizione cinquecentesca fiorentina.
Del resto, le componenti
della cultura illuministica
vennero a frutto negli ultimi due decenni del secolo facendo
convivere, accanto alla dominante archeologica, l’analisi
spregiudicata dei ritratti dipinti da Johann Zoffany – che
insieme a quelli scolpiti dai residenti inglesi Joseph Wilton
e Francis Harwood contribuirono a immettere Firenze nel circuito
europeo dei nuovi canoni estetici – e anche un nuovo metro
narrativo di nobile matrice storico-letteraria, come risulta
evidente nel quadro di Ignazio
Hugford raffigurante la Contessa Matilde e nella inaspettata
declinazione purista di modelli cinque e seicenteschi che caratterizza,
in diversa maniera, la Vergine
di Tommaso Gherardini e il San Romualdo di Santi Pacini.
Mentre
fra i premiati dell’Accademia si distinguevano i pittori
Pietro
Benvenuti e Luigi Sabatelli, a Firenze molto si discuteva
del successo ottenuto
dal lombardo Ademollo al concorso indetto nel 1788 per la decorazione
del teatro degli Immobili (oggi della Pergola), risolta dall’artista
in una versione molto espressiva del Neoclassicismo che piacerà particolarmente
al granduca Ferdinando III, succeduto al padre nel 1791, il quale
affiderà al pittore
la decorazione ad affresco della Cappella Palatina, parte rilevante
di un progetto di ammodernamento della reggia di Pitti che vedrà impegnati
artisti di nuova generazione come Giuseppe Maria Terreni.
Nell’ultimo
decennio del secolo il granduca accoglie gli artisti fuggiti
da Roma a seguito dei moti
antifrancesi, favorendo il formarsi di una colonia che caratterizzerà in
maniera determinante la cultura fiorentina di fine Settecento:
Nicolas Didier Boguet introduce in città il suo paesismo
alla Lorrain ma con aggiornamenti sullo stile atmosferico degli
inglesi; Louis Gauffier diviene ambito ritrattista
del grand tour oltre che pittore esclusivo del paesaggio di Vallombrosa;
François-Xavier
Fabre, allievo di David e familiare di casa Alfieri, consolida
il suo prestigio internazionale come pittore di ritratti e di
quadri di storia con prevalenti
aspetti letterari. c.s.
Indice: Il
fasto e la ragione - Arte del Settecento a Firenze
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