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Al primo
piano degli Uffizi
"Fece
di scoltura di legname e colorì"
La scultura del Quattrocento in legno dipinto
a Firenze
Galleria
delle Statue e delle Pitture degli Uffizi - 22 marzo – 28
agosto 2016
Presentazione
di Eike D. Schmidt
Nella storia dell’arte universale,
dai più antichi reperti archeologici
©www.zoomedia.it vanna innocenti 21
marzo 2016
Allestita al primo piano degli Uffizi |
Le condizioni del
colore
di Eike D. Schmidt Direttore delle
Gallerie degli Uffizi.
"La storiografia artistica,
fortemente impregnata dei canoni estetici dell’Ottocento,
ha sempre distinto la scultura dalla pittura, assegnando la purezza
del candore alla prima, il colore alla seconda. E quando questi
due aspetti si sono trovati congiunti in un’unica opera
d’arte – ovvero nella scultura policroma – se
n’è interpretato il risultato come privo del necessario
afflato idealistico e pertanto etichettato come popolaresco,
vernacolare, “minore”.
In verità, i confini tra
le categorie, ovvero tra la scultura monocroma e quella policroma,
sono astrazioni mentali che appaiono subito come tali a chi si
accosta alla superficie del marmo – ad esempio, quello
cosiddetto bianco di Paro – e ne scopre la vibrazione cromatica
della materia, i mille toni rifratti nella luce dai cristalli
che la compongono. La dicotomia si annulla e tramite l’osservazione
attenta si comprendono i principi biologici che presiedono al
senso della vista: da un lato la cosiddetta “visione scotopica” (quella
che registra il bianco, il nero e la gamma dei grigi), che si
attiva di notte e dipende dall’attività dei bastoncelli
della retina, dall’altro la “visione fotopica” che,
grazie all’attività dei coni della retina, permette
la percezione del colore. La struttura dell’occhio umano è dunque
uno strumento primario di scelte estetiche deliberate. La pittura
a grisaille, ad esempio, o nell’arte moderna le installazioni
con neon luminosi di Dan Flavin, si riconducono alla visione
scotopica, che si attiva al crepuscolo e di notte; lo stesso
avviene guardando un’opera d’arte plastica nella
penombra di una chiesa. Le condizioni di luce influenzano dunque
la selezione delle cellule retiniche e determinano di conseguenza
la selezione del coerente tipo di visione.
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fino ai filoni iperrealista
e neoespressionista contemporanei, la quasi totalità della scultura è policroma
e si avvale della visione fotopica che è in genere – ed
erroneamente – associata al solo campo della pittura. Forse anche
questo sarebbe un argomento da aggiungere sul piatto dell’eterna
querelle relativa al “paragone” delle arti.
Proprio nella scultura del Rinascimento toscano la policromia è un
fattore spesso al servizio del nuovo realismo dell’epoca e si esprime
nelle opere tridimensionali con altrettanta potenza che nella pittura:
statue celeberrime quali il San Rocco di Veit Stoss, giunte a noi nella
bruna nudità della loro anima lignea, erano in origine del tutto
o parzialmente colorate, come la Maddalena orante di Donatello (che conserva
inoltre ampi frammenti dell’antica doratura). Si possono rievocare
gli effetti coloristici delle sculture di un tempo se si osservano il cosiddetto
Marsia rosso, che sfrutta la tinta intrinseca del marmo pavonazzetto per
la rappresentazione dei muscoli scuoiati, o l’arte squisitamente
rinascimentale e virtualmente eterna della terracotta invetriata.
Al visitatore di questa mostra si offriranno pertanto molteplici
spunti di riflessione e una lettura non convenzionale della vita
artistica
nella Firenze quattrocentesca, che nella considerazione generale è ancora
ingabbiata entro le griglie di un’ideologia accademica e troppo eroica.
Ma ecco la verità: famosi pittori si misero al servizio di colleghi
scultori oggi quasi sconosciuti, artisti celebratissimi non disdegnarono
d’intagliare l’umile legno di tiglio, facendolo colorire spesso
da colleghi di rango inferiore; le Madonne più sublimi venivano
replicate in stucco e dipinte per accontentare clienti meno abbienti (o
più avari). Del tondo di Michelangelo si pone in risalto, una volta
tanto, anche l’enigmatica cornice – un
gioco di simboli – scolpita dal virtuoso Francesco del Tasso. Grazie
a nuovi studi o per via di fortuiti ritrovamenti, statue meravigliose sono
liberate da una segregazione secolare nel buio delle cappelle, altre rivestono
nuovi panni dopo restauri accurati, altre ancora trovano una più consona
collocazione attributiva. Si scopre che la scultura toscana era molto più cosmopolita
di quanto si pensi: assorbiva le migliori novità d’oltralpe
e iberiche, prendeva a prestito gli ornati dall’oreficeria francese.
Nella mostra, come nel catalogo a corredo, le opere possono di nuovo dialogare
in una realtà viva: e pare quasi di avvertire, a mezzo millennio
di distanza, i rumori di subbie, di scalpelli, di pestelli nei mortai,
le voci dei garzoni che portano i sacchi di gesso, macinano i pigmenti,
mettono in ordine la bottega, si sentono in sottofondo gli ordini dei maestri – tutta
la febbrile, mirabile, operosa, creativa esistenza delle botteghe
del Rinascimento.
Piero
di Cosimo. 1462-1522
Pittore eccentrico fra Rinascimento e Maniera
Presentazione della mostra
di Paola Grifoni, Segretario regionale
del Ministero
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