PRESENTAZIONE
La serie, ormai
lunga, di mostre annuali che si sono tenute a Scarperia ha svolto in varie
edizioni il tema della coltelleria,
e più in generale delle lame, mantenendo costante l'attenzione
all'ambiente produttivo italiano ed europeo.
Questa edizione propone invece, per la prima volta, le lame africane:
coltelli, armi, utensili taglienti di culture profondamente diverse da
quella in cui si è sviluppata l'attività dei nostri coltellinai.
L'occasione è offerta dal copioso e affascinante materiale che
costituisce le collezioni africane del Museo Nazionale di Antropologia
ed Etnologia dell'Università di Firenze. Il nucleo principale è
costituito da pezzi provenienti dal Congo, che presentano una grande varietà
di forme, una sapiente lavorazione e uno spiccato gusto decorativo. Si
tratta in realtà di manufatti che meritano di essere considerati
con attenzione, anche per scoprire caratteristiche funzionali che non
risultano subito evidenti a causa della grande diversità rispetto
ai modelli europei, ai quali sono difficilmente assimilabili. Per rendere
ancora più completo il quadro delle tipologie congolesi, la mostra
riunisce altri pezzi dell'analogo museo dell'Università di Torino.
Vi sono poi lame provenienti da altre aree, così che sono rappresentate
diverse popolazioni (Bantu, Zulù, Masai, Pigmei, Boscimani, ecc.)
senza tuttavia comprendere l'intero continente africano, anzi circoscrivendo
di proposito il campo alle culture che sono state meno soggette a influenze
esterne. I pezzi sono tutti di antica acquisizione, raccolti in esplorazioni
e spedizioni di studio ormai storiche, e questo li rende ancor più
"genuini" dal punto di vista delle possibili contaminazioni.
La mostra
comprende circa duecento pezzi tra coltelli, armi e ferri taglienti vari,
diversi per forme, dimensioni, utilizzazione.
Tra gli oggetti più piccoli vi sono le lame per rasatura, quelle
per circoncisione, gli strumenti di una chirurgia che non era estranea
alla medicina locale. Poi coltelli di vario genere, pugnali, altre armi
corte da impugnare o da lanciare, ma difficilmente classificabili secondo
le nostre categorie abituali, spesso conformate in un modo che può
apparire semplicemente fantasioso, ma che in mani esperte avevano una
specifica funzionalità. Di lance e frecce sono stati scelti alcuni
esemplari particolarmente significativi per la lavorazione delle punte
di ferro. Vi sono poi utensili taglienti per l'agricoltura, arnesi del
fabbro, piccole punte per cavarsi le spine dai piedi, e altro ancora.
Non mancano strumenti inquietanti, come i terribili artigli di ferro con
cui gli adepti della setta degli uomini-leopardo dilaniavano le vittime.
Un'altra trentina di oggetti africani di vario genere, anch'essi provenienti
dal museo fiorentino o da quello torinese fanno da contorno.
Non c'è
dubbio che in un raffronto con la produzione europea, l'aspetto più
evidente sia quello della diversità. Ma un'analisi più attenta
può mettere in evidenza anche analogie significative: l'arma o
lo strumento che divengono indice di rango, o che assumono una particolare
funzione simbolica, o rituale, sono presenti in entrambe le culture, pur
se in forme diverse. E anche sul piano materiale, il forgiatore africano
posto di fronte alla necessità di ottenere lame efficaci economizzando
il ferro, affrontava in pratica lo stesso problema dell'artigiano del
Medioevo europeo, quando il ferro anche qui scarseggiava, o del coltellinaio
dell'ottocento che doveva comunque risparmiare sulla materia prima, e
le soluzioni trovate sono talvolta simili, o comunque possono essere oggetto
di paragoni interessanti. L'auspicio è quindi che questa mostra
non costituisca una conclusione, ma uno spunto e uno stimolo per futuri
approfondimenti.
Di Luciano Salvatici
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