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Firenze

Iniziativa nel calendario eventi Genio Fiorentino 2006 dal 22 aprile al 21 maggio 2006

Salone Dugento durante il convegno
Prospettive per l'organizzazione del
Teatro musicale in Italia

Firenze – Palazzo Vecchio, Salone dei Duecento 29-30 aprile 2006

INTERVENTO DEL SOVRINTENDENTE STEPHANE LISSNER
AL CONVEGNO DI FIRENZE DEL 29 APRILE
 
“ Teatro di repertorio e teatro di produzione ”
Immaginate, come in un racconto di Calvino, che sette grandi direttori si trovino a lavorare nello stesso teatro, nello stesso giorno, quasi senza sapere nulla l'uno dell'altro. Per esempio: Daniel Barenboim, Zubin Mehta, Lorin Maazel, Riccardo Chailly, Daniel Harding, Vladimir Jurowski, Roberto Abbado.
Questo è avvenuto, alla Scala, il 19 dicembre scorso.
Mentre il maestro Zubin Mehta provava in sala con i Wiener Philharmoniker, sei piani sopra Daniel Barenboim stava concertando la “Nona” di Beethoven per il Concerto  di Natale, Lorin Maazel faceva audizioni per Tosca (che domani, 30 aprile, finisce di dirigere), Daniel Harding proseguiva le repliche di Idomeneo; Riccardo Chailly sceglieva le voci per il Rigoletto; Vladimir Jurowski lavorava all'Ansaldo con la compagnia di Evghenij Oneghin; Roberto Abbado faceva altre audizioni per Lucia di Lammermoor.
Racconto questo per rappresentare una realtà precisa: in quei giorni, chi giudicasse la Scala dal cartellone, avrebbe detto che si lavorasse “solo” per Idomeneo di Mozart e la Nona di Beethoven. Ma in scena c'era anche il balletto Sylphide, che in nove recite faceva nove volte l'esaurito.

Dal 7 al 31 dicembre il teatro era aperto praticamente ogni sera. 
Ogni giorno, oltre ad aprire il sipario, l'Orchestra e il Coro lavoravano con tre diversi direttori su Mozart, Beethoven e Ciaikovskij contemporaneamente; come è giusto e normale che avvenga in teatro: come quotidiana palestra per le forze artistiche.
 
(PROVE). Che cosa intendo dire con questo?
Semplicemente considerare la realtà di un teatro come la Scala, che con il Comunale di Firenze e i maggiori teatri italiani condivide una storia, un'idea del fare musica, una tradizione, una cultura, un metodo di lavoro, un impegno con il pubblico.
Se qualche sera alla settimana il sipario non si alza, non significa che il Teatro non lavori. Anzi, proprio in quel giorno, forse, si lavora di più: al mattino c'è sempre una prova tecnica o di regia in palcoscenico, nei laboratori dell'Ansaldo si costruiscono nuove scene o se ne adattano di vecchie al nuovo palcoscenico, il Coro impara un'opera nuova, i cantanti preparano le parti con i maestri collaboratori, dal pomeriggio fino alle 22.30 si fanno prove d'insieme.  
In più, nella sua attività come orchestra autogestita, la Filarmonica prepara i concerti che rafforzano il suo patrimonio sinfonico e arricchiscono la programmazione della Scala; mentre le formazioni in cui l'orchestra si articola, sviluppano programmi da camera per appuntamenti aperti al pubblico di giovani e anziani.
Ogni mattina ho sotto gli occhi i piani di lavoro della giornata e non ho mai la sensazione che qualche settore della Scala stia con le mani in mano. Il fatto è che la programmazione di un teatro è un iceberg del quale emerge a volte solo un terzo di quel che si fa. Affermo un paradosso: aprire il sipario non è sempre l'attività più pesante. L'incastro di prove e di recite lascia minimi spazi liberi, soprattutto oggi che, con la macchina scenica aggiornata tecnologicamente, anche tre spettacoli diversi possono ruotare fra loro in 24 ore.

Insomma, la differenza fondamentale tra le due “filosofie” del fare teatro che in questo convegno mettiamo a confronto, non è nella mole di lavoro che un teatro sviluppa, ma nel COME arriva in scena. E la differenza sta in una parola sola: PROVE. Prove musicali e teatrali; letture d'orchestra, prove di scena, prove di compagnia, prove di scena, prove d'insieme ecc…
 
Il tempo che una “casa d'opera” impegna nelle prove è la linea di demarcazione fra teatro cosiddetto “di repertorio” e teatro “di produzione”.  
 
PRODUTTIVITA'. Negli ultimi tempi vengono diverse critiche allo stato delle cose e pressanti inviti ad aumentare le recite, a incrementare la cosiddetta “produttività”. E nessuno ha intenzione di non prestare ascolto a questi inviti, ma mettendo in chiaro alcuni punti fondamentali.
Nel novembre scorso ho fornito al pubblico e alla stampa un confronto con altri teatri europei con cui la Scala ha l'obbligo di misurarsi. Tutte le voci davano la Scala come “virtuosa”: la somma dei contributi pubblici (inferiore a cinque tra i maggiori cugini europei), il numero dei dipendenti (in linea con gli altri e inferiore in tre casi su cinque), le risorse proprie (cresciute alla Scala in questi anni fino al 60% del budget globale), eccetera. L'unica voce che creava qualche difficoltà nel farsi spiegare era il numero delle recite della Scala rispetto  alle 340 alzate di sipario dell'Opera di Vienna e dell'Opera di Monaco - non dell'Opéra di Parigi (360 ma divise in due teatri), né del Covent Garden di Londra (275 di cui 130 di balletto). Ma già da quest'anno il nuovo palcoscenico consentirà di arrivare a circa 250. E l'impegno è a crescere ancora.
Il primo discorso da fare sull'argomento è di cultura e di tradizione. Una serata qualunque in un teatro di repertorio, in Italia verrebbe accolta molto freddamente. L'attesa che il pubblico pone nei confronti di un'opera in scena alla Scala e  in altri teatri italiani, è tale da non “soffrire la mediocrità” come si scriveva nel Settecento.
Regia, scene, costumi, voci, direttore, coro e orchestra devono tutti rispondere al giudizio severo di un pubblico che chiede al teatro d'opera innanzitutto qualità, anzi eccellenza, in ogni parte della produzione.

La qualità, poi, non deve essere considerata un semplice sinonimo di costo, ma al contrario, proprio in una visione di mercato, un fondamentale investimento. Infatti solo il prodotto di qualità potrà consentire di attrarre maggiore profitto su tre punti principali :
- In primo luogo, il pubblico: è la qualità che permette di aumentare il numero di spettatori e di abbonati, e quindi d'incrementare gli incassi.
- In secondo luogo la stampa, che risponde alla qualità più positivamente, influenzando l'intera opinione pubblica  e quindi i “poteri” pubblici.
- Infine, ma non ultime, le risorse private (Fondatori, sponsor, eccetera...) che considerano la qualità una garanzia al loro “investimento”, dal quale si aspettano un adeguato ritorno d'immagine, e che orientano pertanto le loro scelte aziendali su un Teatro di cui l'immagine artistica sia forte.

La reputazione di un teatro non si costruisce solo sulle nuove produzioni, ma anche con la qualità delle riprese. In questi giorni il pubblico sta accogliendo Tosca con lo stesso entusiasmo di una nuova produzione; e invece lo spettacolo è noto: Ronconi lo creò per la Scala dieci anni fa, ma
l'impegno nell'adattare le complicate scene al nuovo palcoscenico e nel ricreare con vitalità la regia originale sono le stesse che dedichiamo a una nuova realizzazione. E “dentro” allo spettacolo ci sono nuovi motivi musicali, sopra tutti la direzione di un pucciniano eccellente come Lorin Maazel. E questo il pubblico lo sente: lo spettacolo non è più “vecchio”, è sempre nuovo.
La nostra responsabilità è di evitare routine e pigrizia nel rimontare gli spettacoli, di conservare per le riprese la stessa cura e lo stesso entusiasmo che dedichiamo alle novità.
Anzi, paradossalmente, la reputazione di un Teatro lungo tutta una stagione si misura di più sulla nostra capacità di presentare riprese di qualità piuttosto che sulle nuove produzioni.
Ma garantire eccellenza o qualità costante non è un'impresa facile per un teatro cosiddetto di repertorio: andare in scena ogni sera con un titolo diverso significa montare velocemente spettacoli con scarse ambizioni artistiche, a più riprese durante la stagione; significa reclutare nelle compagnie stabili del teatro (che qui non esistono) cantanti non sempre all'altezza di ruoli difficili, sui quali resistono confronti immensi con il passato e nei quali siamo abituati a veder contestare, qui, eccellenti professionisti; significa che l'orchestra non ha provato o comunque non a sufficienza con chi la dirigerà quella sera.

(CULTURA, TRADIZIONE) Ma, attenzione, l'attesa che il pubblico pone nel rito dell'andare a teatro non è frutto di un capriccio: affonda le sue radici e le sue ragioni nella storia, nella cultura del Paese che ha fatto nascere l'Opera.
Gran parte dei titoli che oggi fanno parte del patrimonio noto al grande pubblico, sono nati come eventi straordinari di brevi stagioni “dedicate” (al Carnevale, a festività e celebrazioni, eccetera).

L'idea di eccezionalità è penetrata nella tradizione attraverso la forma nobile del teatro appunto "di stagione": che consisteva alle origini, e che consiste ancora oggi, in allestimenti di pregio commissionati per l'occasione, con cantanti e direttori di alto livello scritturati per un progetto musicale speciale, in spettacoli che nascono e muoiono in pochi giorni.
Ma oggi quel che si pratica nei teatri è già una evoluzione della forma estrema del teatro "di stagione": le produzioni durano di più, sono destinate a successive riprese e ad ampie circolazioni, anche all'estero. Quel che oggi chiamiamo teatro “di produzione” è già un passo non piccolo verso la garanzia al pubblico di un “repertorio”.
Non solo. Nei programmi di sala che forniamo al pubblico per aiutarlo ad ascoltare con consapevolezza, spesso citiamo i carteggi che i musicisti
avevano con i loro librettisti; li ricordiamo esigenti, attentissimi alla drammaturgia e alla parola, ma anche vigili sulle esecuzioni, inflessibili sui cantanti. Attraverso la musicologia, la critica e lo scrupolo filologico degli interpreti più avveduti, si è coltivato e diffuso un giusto rispetto verso le intenzioni degli autori. Nel pubblico è rimasto vivo un principio: l'approssimazione e la mediocrità sono i primi nemici dell'arte. 
Su queste basi, come può un teatro, IL TEATRO, rinunciare fin dall'inizio alla ricerca della qualità? Come può sposare la routine come metodo di lavoro? Certo, in uno spettacolo non tutte le scelte possono essere felici. Magari l'intero spettacolo può risultare conseguenza di rischi non ben calcolati. Ma il rischio fa parte del gioco e l'impegno alla ricerca della qualità significa scegliere di andare in scena con spettacoli affidati a registi di valore, a cantanti adeguati, a direttori importanti; ma soprattutto con spettacoli pensati, “lavorati” con cura e con passione. Il lavoro e il tempo sono i principali arbitri in questa ricerca della qualità.
Non possiamo lasciarci prendere unicamente dalla preoccupazione di rispondere a criteri di produttività, dimenticandoci dei tempi necessari per la preparazione degli spettacoli, sia sotto l'aspetto musicale sia sotto quello teatrale.

L'attesa nei confronti del Teatro o della “teatralità” è oggi più grande: dagli anni '70 il pubblico è diventato progressivamente più esigente.
Dobbiamo tenere conto di questo “tempo”  indispensabile perché si compia l'incontro tra la Musica e il Teatro, che è poi l'essenza del Teatro d'Opera.
Grandi registi come Ronconi, Wilson, Stein, Chéreau, Bondy,  Braunschweig, Gruber, Zeffirelli, chiedono le migliori condizioni per le prove e li vediamo apparire ormai piuttosto  nei cartelloni di Festival o di Teatri di “stagione”.
Grandi direttori come Abbado, Barenboim, Boulez, Rattle e  Muti, hanno tutti creato orchestre giovanili, anche loro per potersi avvalere di condizioni di lavoro diverse da quelle di orchestre istituzionali.

La mia esperienza personale, in realtà diverse e in differenti contesti, mi ha definitivamente confermato che i grandi musicisti e i grandi uomini di teatro mi hanno seguito grazie alle condizioni di lavoro che offrivo loro e al tempo che veniva messo a loro disposizione.

(SERVIZIO ED EVENTO). La distinzione, per il pubblico, fra teatro “di repertorio” e teatro “di produzione” potremmo sintetizzarla nella differenza fra teatro “di servizio” e teatro come “evento”.
Ma nessuno si nasconde che anche un teatro di eccellenza ha il compito di fornire un servizio. E questo non è incompatibile con la ricerca della qualità.
Le tecnologie di cui ormai molti tra noi si stanno dotando, aiutano ad accelerare i cicli della macchina teatrale, ad aumentare le recite e ad aprirsi a un pubblico più vasto; se sarà anche nuovo e giovane, dipenderà da noi, dalla nostra creatività e dal nostro coraggio.
Ma è vitale rendersi conto che c'è un limite oltre il quale non si può andare: non si potrà mai comprimere sotto un certo livello il tempo delle prove e dei mezzi economici necessari. Sarebbe un tradimento della cultura e della tradizione da cui i nostri teatri discendono.
Da parte nostra, alla Scala, già stiamo lavorando per cercare un ideale punto di incontro fra “servizio” ed “evento”: il teatro “di produzione” è già una sintesi fra “repertorio” e “stagione”, suscettibile di molte, nuove varianti, senza mai varcare il confine che abbiamo individuato.
Io credo che un teatro che, come la Scala, è aperto almeno cinque giorni su sette, e che negli altri due lavora con le prove , non sia un teatro che lavora “poco” e che non rispetta il suo impegno verso il pubblico.
Un teatro “di produzione” può svolgere un servizio al pubblico. Più difficile è che avvenga il contrario.

CONCLUSIONE. Ricordo infine che la Scala, dal 2001 al 2006, ha letteralmente invertito la proporzione fra sovvenzioni pubbliche e private: dal 60% delle prime e 40% delle seconde, è passato al 40% delle prime e al 60% delle seconde.
Ho affermato più volte che il giusto equilibrio sta nella prima proporzione, cioè nella maggioranza di sovvenzioni pubbliche (com'è in quasi tutta l'Europa ). Lì bisogna tornare al più presto. Solo così un teatro d'opera può onorare il suo impegno a fornire un servizio pubblico: dovere che è imposto anche a una Fondazione privata.
E poiché l'invito e l'impegno sono a far crescere la produttività, proprio in vista di quel punto d'equilibrio fra le due opposte filosofie del far teatro, dobbiamo tuttavia ricordarci che non possiamo applicare ai Teatri quei principi di produttività che normalmente derivano da modelli aziendali. D'altra parte non possiamo mettere la testa sotto la sabbia e ignorare le mutazioni straordinarie, in rapida accelerazione, che caratterizzano il mondo di oggi.

Il Teatro, proprio per salvaguardare il suo ruolo attivo nella collettività, non è, e non deve considerarsi avulso dalla realtà in cui vive, ma esserne testimone e interprete.

La vera questione sul tavolo oggi non è l'opposizione tra due filosofie di Teatro, ma il come adattarsi a questo mondo governato da parametri nuovi di cui non possiamo non tenere conto: è necessario reinventarci, ripensare nuovi modelli organizzativi.
E la grande difficoltà nel gestire un Teatro, oggi, sta nel trovare il punto di equilibrio (non schematico) tra i differenti parametri.
In primo luogo dobbiamo perseguire il raggiungimento di un equilibrio tra la sfera artistica e l'economica,  cioè tra il progetto e le risorse disponibili.

Operazione possibile accordando tra loro  una varietà sempre più complessa di parametri senza che alcuno prenda il sopravvento sull'altro e avendo la qualità come obiettivo finale: il repertorio, ad esempio, fra tradizione e modernità (le opponiamo o cerchiamo di unirle in un continuum?); la qualità delle singole rappresentazioni senza che la regia sfori sulla musica (come accade in Francia per esempio) o una voce sopra le altre; la produttività e l'organizzazione sociale del Teatro, nel rispetto del contratto di lavoro.

In questa complessa “concertazione”, con la quale abbiamo l'obbligo di esprimere il “suono” migliore, l'armonia più evoluta, dobbiamo agire con estrema prudenza per scongiurare il rischio di uniformare tutti i Teatri applicando indistintamente alcuni principi e alcuni stereotipi.
Ripeto: una regolamentazione è fondamentale ed è giusto che vi sia da parte del “potere” pubblico la raccomandazione  a ottenere il massimo di produttività, ed è altrettanto doveroso da parte degli amministratori dei Teatri prestare la massima attenzione a questo invito.
Tuttavia, ciò deve essere fatto in modo estremamente cauto e nel rispetto della storia e della personalità di ciascun Teatro.

La specificità dell'arte è nella sua individualità: la Scala non può essere paragonata alla Staastoper di Vienna, né all'Opéra di Parigi né tanto meno al Metropolitan di New York. Non si tratta di differenze di dimensioni, ma di contesti sociali, di culture, di tradizioni insite nella storia di ciascun paese. E la stessa specificità è evidente anche fra i teatri italiani, diversi per dimensione della città, per storia, per repertorio, per contesto sociale in cui il teatro stesso si è evoluto e in cui agisce, per il gusto del pubblico e, non ultimo, per il contributo di coloro che vi lavorano, e che sono i depositari della storia del loro stesso Teatro.

Oggi più che mai bisogna affrancarsi dalla dualità pubblico/privato. Personalmente rivendico l'idea che un teatro sia “pubblico” anche quando
ha forma giuridica privata. Ma sostengo anche la necessità che un teatro pubblico non possa isolarsi e astrarsi dalle logiche del mercato. Nella realtà di oggi, per la nostra generazione, nell'Europa della libera circolazione di idee e risorse, nell'Europa culturale che dobbiamo contribuire a costruire, questa è l'unica strada: far dialogare senza tabù la sfera pubblica e la sfera privata come motori della cultura, in un giusto equilibrio fra loro.

Senza dimenticare che la materia umana con cui abbiamo a che fare sono cori, orchestre, maestri collaboratori, aiuti registi, ma anche artigiani delle scenografie e dei costumi.

Al cuore del teatro ci sono gli artisti.

A loro, a noi, il compito di costruire la vera Europa , che non è solo quella economica ma anche quella della Cultura.

LE RAGIONI DI FIRENZE.
OPPORTUNITÀ E TEMATICHE DEL TEATRO MUSICALE IN ITALIA

Documento Conclusivo a cura di Dario Nardella, Presidente Commissione Cultura del Comune di Firenze, e di Mario Ruffini, Responsabile dei progetti di Musica e Arti figurative dell’Istituto Germanico di Storia dell’Arte di Firenze.

INTERVENTO DEL SOVRINTENDENTE STEPHANE LISSNER AL CONVEGNO DI FIRENZE DEL 29 APRILE 
Teatro di repertorio e teatro di produzione

Indice convegno Teatro Musicale

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Pagina pubblicata il 13-05-2006 - Aggiornato il 23-Apr-2008