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Firenze
Franca Falletti e gli intervenuti nella conferenza stampa, nella Tribuna del David

'Virtu' d'amore. Pittura nuziale nel Quattrocento fiorentino''
al Museo dell'Accademia e la sezione "Pittura domestica" al Museo Horne - 8 giugno 1 novembre 2010

Quattro chiavi per una mostra
di Franca Falletti,
Direttrice della Galleria dell’Accademia

Festa di San Giovanni,
nel cassone del Museo Nazionale del Bargello, sezione "L'orgoglio della casata"

particolare della tavola "Giuditta e Oloferne

Presentazione della mostra di Franca Falletti
Direttrice della Galleria dell’Accademia

" La mostra "Virtù d’amore", che presenta una scelta di arredi da camera dipinti nel secolo XV presso alcune delle più attive botteghe fiorentine, offre al visitatore molteplici chiavi di lettura. La più immediata e assolutamente consueta per una mostra allestita presso la Galleria dell’Accademia è volta a contestualizzare un’opera presente nella nostra collezione permanente, in questo caso il così detto Cassone Adimari che, accostato ad altri oggetti analoghi per destinazione, periodo e luogo di provenienza, potrà senza dubbio acquistarne in chiarezza di significato per il pubblico e in puntualizzazione storica per gli studiosi.

La seconda chiave di lettura è quella critico attribuzionistica, sulla quale hanno fatto perno quasi esclusivo altre mostre in passato, come quella su Giotto, su Lorenzo Monaco o su Giovanni da Milano, gli eventi, cioè, relativi al momento storico (il Trecento fiorentino) su cui la Galleria dell’Accademia ha una specificità tutta particolare sia sotto il profilo della tipologia delle collezioni, sia sotto il profilo dell’esperienza tecnico scientifica e di ricerca.
Nel caso della presente mostra tale chiave di lettura, per quanto non abbia mancato di portare ad alcuni risultati di grande interesse, si è presentata particolarmente impegnativa, per molti motivi, di cui cercherò d’illustrare i più evidenti. Sebbene negli ultimi anni l’argomento sia stato oggetto di varie altre esposizioni temporanee analoghe, anche di altissimo livello, il patrimonio di pittura proveniente da arredi di dimore private rinascimentali fiorentine è ancora molto da scoprire e da studiare.
La sua conoscenza è oggettivamente ostacolata dal frequente mediocre stato di conservazione, dovuto in primo luogo all’essere oggetti di uso, ma anche al fatto di appartenere a ben determinate persone e famiglie e quindi di aver subito la sorte, magari avversa, dei loro proprietari. Questo ha comportato la cancellazione di stemmi o la graffiatura di volti in cui si potevano ravvisare le sembianze di persone detestate o ancora gesti distruttivi di altro tipo, ma tuttavia legati a una qualsivoglia sorta di “damnatio memoriae”.

Inoltre ha pesato su deschi da parto, frontali di cassoni, parti di spalliere e oggetti analoghi, la crociana attitudine a considerarli oggetti di arte “minore” e come tali a lasciarli preferibilmente nei depositi e non troppo curati dal punto di vista conservativo, talvolta anche in musei importanti e accorti.

Al di là dello stato di conservazione, comunque, la lettura stilistica di queste opere è di per sé complessa per essere in gran parte produzione quasi seriale, fatto da cui può conseguire la ripetitività dei soggetti e delle soluzioni compositive, come anche la partecipazione di varie mani sullo stesso testo pittorico, più di quanto non avvenga su dipinti ritenuti di maggior impegno.
Intendo che nella distribuzione del lavoro all’interno di quel complesso laboratorio
“ multifunzionale” che erano le botteghe dei pittori fino a tutto il Quattrocento, dovevano esserci da parte del maestro titolare disposizioni assai più attente e rigide sulle commissioni meglio pagate e di maggiore importanza a livello di immagine, il che spesso corrispondeva alle commissioni pubbliche; su questi oggetti di destinazione privata e di grande smercio, si può supporre invece che talvolta il controllo potesse essere minore e che si facesse largo uso anche di modelli e di stampi per le parti accessorie.

Tuttavia non sempre è così e ci sono stupendi esempi, che la storia dell’arte ben conosce, di cassoni e spalliere dipinti dai maggiori artisti sul mercato, basti ricordare fra tutte le Battaglie di Paolo Uccello per Palazzo Medici Riccardi. Anche nella nostra mostra non mancano testimonianze dell’impegno diretto di grandi e grandissimi artisti nei confronti di questo aspetto della pittura che potrebbe considerarsi, a torto, di secondaria importanza: Botticelli, Filippino Lippi e Pesellino si rivelano nella loro forma migliore, in taluni casi favoriti anche dall’intimità e dalla vivace scioltezza dei temi trattati. Per gli studiosi e per il pubblico di tutto il mondo si presenta inoltre l’occasione straordinaria di ammirare l’una accanto all’altra le quattro tavolette laterali dipinte da Botticelli e dal giovane Filippino Lippi per una coppia di cassoni che illustrano la storia di Ester e Assuero.
L’occasione è da considerarsi straordinaria, perché la sorte ha frammentato e disperso i sei pezzi costitutivi dell’insieme in ben cinque musei diversi e non meno perché la questione attributiva, ad oggi ancora aperta, potrà senza dubbio avvantaggiarsi dalle indagini e gli studi correlati al presente evento. Ma soprattutto dobbiamo far notare che la tavoletta facente parte della Collezione Pallavicini non compare al pubblico da almeno mezzo secolo e quindi la sua presenza è da considerarsi per noi un dono davvero unico e irripetibile.

Ma, recuperando il filo delle chiavi di lettura della mostra, si è giunti a quella contenutistica e quindi letteraria. Le storie dipinte sui frontali di cassoni, sui deschi da parto e sulle spalliere, infatti, fanno tutte riferimento, spesso in maniera assai puntuale, a fonti letterarie, che sono raggruppabili per lo più come repertorio classico, medioevale o biblico e che ci permettono di gettare un occhio discreto sui volumi che con maggiore frequenza costituivano il patrimonio librario di una casa colta fiorentina nel corso del XV secolo.
Iliade, Odissea, Eneide, Metamorfosi, mitologia greca, Petrarca e ancor più Boccaccio, così come i libri dell’Antico Testamento vengono riletti e squadernati sugli arredi delle camere delle spose e degli sposi non tanto per arricchire la loro cultura e istigarli a dedicarsi, nelle ore vuote dagli impegni casalinghi e di lavoro, a utili letture, quanto ancor più per ricordare loro come dovranno comportarsi affinché il matrimonio proceda nel modo migliore.

Ed ecco quindi la quarta e ultima chiave di lettura, quella che permette a un’esposizione apparentemente tutta proiettata nel passato di riverberarsi nel presente, a ribadire la costante contemporaneità dell’arte. La chiave di lettura secondo gli insegnamenti morali trasmessi dalle storie e secondo le finalità formative del concetto di buona moglie e buona madre (o di buon marito e di buon padre) è quella che guida la successione delle opere esposte e la relativa divisione in sezioni: La memoria dell’evento, I ruoli nella coppia – Virtù e seduzione, L’orgoglio della casata.

Dalla prima sezione, a sua volta divisa nei due eventi principe della vita familiare, il matrimonio e il battesimo, emerge come la scelta degli episodi da illustrare all’interno delle storie fosse spesso condizionata dall’esigenza di fissare nella memoria familiare, riproducendolo in pittura, lo sfarzo del banchetto matrimoniale o il momento dello scambio degli anelli fra gli sposi, atto particolarmente significativo sotto l’aspetto simbolico e gestuale, all’interno del lungo e complesso iter matrimoniale, che iniziava assai prima del giorno della cerimonia vera e propria e prevedeva una serie di elaborati contatti e contratti non tutti proprio attinenti al concetto di amore.

Si entra poi nel cuore della mostra con la sezione successiva, dove le pitture esposte illustrano quelle storie da cui le giovani donne dovevano trarre i giusti insegnamenti per la loro futura vita di spose: fra le virtù raccomandate primeggiano la pudicizia e l’obbedienza, quest’ultima unita al più ampio concetto di sottomissione all’uomo, dall’esempio di Vasti che viene ripudiata per non essere immediatamente accorsa al richiamo di Assuero, fino alla misera Griselda, che viene sottoposta per anni e anni a crudelissime prove prima di essere accettata a pieno titolo come moglie. Al contrario delle vergini Lucrezia e Virginia, che al disonore subìto con la forza riescono a opporre solo la propria morte, la bellissima Alatiel, fatta oggetto di possesso da parte di numerosi uomini violenti, sopporta tutto in silenzio e quando torna dal suo promesso sposo gli si presenta come di nuovo vergine («E essa che con otto uomini forse diecimila volte giaciuta era, allato a lui si coricò per pulcella…»), mostrando così di avere lo stesso straordinario potere che Jorge Amado
donerà alla sua Teresa Batista. Tuttavia in tutte le sue peregrinazioni Alatiel sarà sempre presa da uomini stranieri, che non parlano la sua stessa lingua e con cui lei, perciò, non può scambiar parola. Quindi è il parlare, l’avere un contatto di dialogo che fa la differenza e rimanda all’espressione “ conoscere” usata nella Bibbia per indicare l’atto sessuale o al manzoniano «…e la sciagurata rispose». Senza risposta, insomma, non c’è peccato. Concetto modernissimo, che ci ricorda come il nostro senso del peccato abbia impiegato secoli per risalire dal baratro in cui l’aveva gettato la Controriforma.

Il ripudio di Vasti, invece, ha come esplicita giustificazione, nel racconto biblico, quella di essere di esempio per tutte le donne. La sentenza, infatti, suona così: «La regina Vasti ha mancato non solo verso il re ma anche verso tutti i capi e tutti i popoli che sono nelle province del re Assuero: perché quello che la regina ha fatto si saprà da tutte le donne e le indurrà a disprezzare i propri mariti». In realtà Ester, che sarà incoronata regina dopo che Vasti avrà lasciato la reggia, non è molto diversa nell’animo, ma sa come ci si deve comportare e ottiene tutto ciò che vuole da Assuero, mostrandosi fragile e devota. È insomma il prototipo biblico della donna che ogni uomo desidera, perché gli lascia l’illusione di essere il più forte e non ne scalfisce l’immagine.

La morale, quindi, non è materia pertinente al privato, ma è piuttosto un fatto sociale: tenere sotto controllo il comportamento di una donna significa garantire la tenuta della compagine sociale e il rispetto di quelle regole grazie alle quali ogni gruppo mantiene il suo proprio ruolo. Perché sia rivendicato il possibile valore individuale della virtù bisognerà aspettare fino al Romanticismo e tuttavia ancor oggi il sistema spesso si regge così, se non nella sostanza almeno nell’apparenza.

Il comportamento di Ester introduce ad altre riflessioni, che sono poi sviluppate nella terza sezione della mostra. La capacità della regina di condizionare, con la dolcezza del suo aspetto, le decisioni del sovrano si può ben definire con il termine “seduzione”, anche se volta al fine di ristabilire la giustizia e non di sovvertirla, come avviene nei molti casi che stanno a testimoniare il Trionfo dell’amore sul raziocinio dell’uomo (non si registrano casi al femminile…): Sansone e Dalila, Virgilio e Fibilla, Aristotele e Fillide, Giuditta e Oloferne. Tuttavia Giuditta usa la sua magia sessuale per liberare il suo popolo e ci riporta a un caso di ambiguità del giudizio morale, che è sempre complesso e articolato e mette in gioco il libero arbitrio, in un momento storico in cui esso cominciava a diventare oggetto predominante della diatriba dottrinale fra Chiesa Cattolica e nascente protestantesimo.

Infine, l’“orgogliodella casata”. Perché l’uomo si sposava avendo a cuore prioritariamente
l’opportunità di arricchire la gloria della sua famiglia, sia legandosi a stirpi di alto lignaggio e perciò potenti, sia garantendosi una progenie numerosa e sana, magari facendo cadere la sua scelta su una giovane di povera famiglia, ma forte nella costituzione fisica.

Dall’ampio materiale di documentazione delle portate al catasto risulta evidente che, proprio nell’ottica di garantirsi una continuità della stirpe, quando la moglie moriva (molto spesso di parto) il maschio riprendeva una moglie giovane, cioè in età atta a procreare con facilità; la cosa poteva purtroppo ripetersi più volte, con la conseguenza che nella tarda età dell’uomo la differenza con la sposa era spesso assai marcata. Tale sistema può sembrare brutale, ma il nostro giudizio deve tenere conto di una situazione demograficamente diversa da quella attuale e nella quale la sopravvivenza di un casato o addirittura di una città non erano affatto scontate: le vaste aree all’interno delle mura di Firenze ancora spopolate e coltivate a campi o occupate da fornaci stavano lì a ricordare una speranza di crescita violentemente frustrata dalla grande peste del 1348.

Concludendo, la mostra è stata concepita anche per dare adito a una riflessione sulla società del Quattrocento a Firenze e in particolare sul valore della famiglia e sul ruolo della coppia al suo interno. Per noi, che speriamo di aver fatto una cosa stimolante nell’ambito delle problematiche dell’oggi, resta irrisolta una questione: e per l’amore che spazi c’erano? Forse fuori delle camere nuziali… "

Oltraggio di Lucrezia
© www.zoomedia.it - vanna innocenti - 7 giugno 2010
Dall'alto a sinistra nelle immagini, la presentazione di Franca Falletti nella conferenza stampa nella Tribuna del David della mostra: "Virtù d'amore. Pittura nuziale nel Quattrocento fiorentino."; a destra, un particolare della tavola "Giuditta e Oloferne" 1480 1490 attribuita al Maestro di Marradi (attivo fra il 1470 e il 1510 circa), prestito alla mostra del Museo Nazionale di San Matteo di Pisa; subito sopra: particolare della tavola di Biagio D'Antonio Tucci (Firenze 1466-1515) "Oltraggio e suicidio di Lucrezia" nelle "Storie di Lucrezia" del 1480-1485 circa, dalla Galleria Franchetti alla Ca' d'Oro di Venezia.

 

Mostre concluse alla Galleria dell'Accademia:

- Robert Mapplethorpe. La perfezione nella forma
- Le forme del corpo -
Relazioni ideali nello spazio
Incontri di studio e complemento della mostra "Robert Mapplethorpe"
- Giovanni da Milano - Capolavori del gotico fra Lombardia e Toscana
- Meraviglie sonore - Strumenti musicali del Barocco Italiano
- Lorenzo Monaco (Firenze c. 1370 – c.1425) - Dalla tradizione giottesca al Rinascimento

 

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Pagina pubblicata il 06-2010 - Aggiornato il 07-Giu-2015