Eventi e mostre in Palazzo
Medici Riccardi
"L'amore, l'arte
e la grazia - Raffaello
La Madonna del Cardellino Restaurata"
©www.zoomedia.it vanna innocenti 2008
La Madonna del Cardellino restaurata di Raffaello Sanzio Santi e da sinistra:
Giovanna Folonari, Assessore alla Cultura della
provincia di Firenze, Cristina Acidini, Soprintendente
al Polo Museale Fiorentino, Patrizia Riitano, Responsabile del restauro
della Madonna del Cardellino.
Introduzione di Cristina
Acidini
Par di vederlo messer Giovan Battista Nasi il 12 novembre del 1547, quando
gli rovinò la casa in via de’ Bardi per lo smottamento della
collina di San Giorgio, certo impregnata d’acqua in quell’autunno
che doveva esser stato (come era accaduto in passato, come sarebbe accaduto
ancora in futuro) esageratamente piovoso: salvo, ma sconvolto fino alla
disperazione, aggirarsi con la famiglia e i servi tra le macerie della
casa che era stata dei suoi, a tentar di riconoscere in un profilo spezzato
o in un frammento fangoso qualcosa di caro.
Non sapremo mai da quali mani,
tra quali esclamazioni fu estratto il primo pezzo di legno di quella
tavola dipinta che tanto era tenuta in pregio
da Giovan Battista e prima dal padre di lui, Lorenzo, e poi un altro
frammento, e altri ancora, piccoli e grandi, forse adagiati via via pietosamente
in
una cesta, in attesa di tempi migliori per decidere il da farsi.
Se la
tavola non fosse stata la Madonna del Cardellino di Raffaello
Sanzio, forse quei pezzi di legno avrebbero seguito la sorte delle
macerie, la
più ovvia: a carriolate in Arno. Ma era la Madonna del
Cardellino.
Era uno dei quadri dipinti dal giovane Sanzio nel suo soggiorno fiorentino,
mentre velocemente raggiungeva la sua aurea maturità artistica
alla luce di Leonardo, di Michelangelo, di Fra’ Bartolomeo, accolto
in città da famiglie influenti e ben disposte, nelle cui case
era volentieri ricevuto come ospite e come artista. La rete di parentele,
alleanze politiche
e sodalizi finanziari che protesse Raffaello da Urbino a Firenze faceva
capo a Taddeo Taddei, facoltoso mercante, sostenitore dei Medici anche
nei difficili anni del loro esilio, dopo la cacciata del 1494. Per
lui Raffaello dipinse quadri ricordati dal Vasari e non ancora identificati;
ma lavorò anche per famiglie della medesima cerchia. Il fratello
di Taddeo, Gherardo, era sposato con Ippolita Nasi, e appunto per quel
tramite Lorenzo Nasi entrò in amicizia con l’artista urbinate
(maggiore di lui solo di due anni) e gli fece dipingere la Madonna
del Cardellino, per le proprie nozze con Sandra Canigiani. E per Domenico
Canigiani, fratello di Sandra, Raffaello dipinse non molto dopo la
Sacra
Famiglia oggi a Monaco di Baviera, del 1507-1508.
A ventisette anni dalla morte
prematura nel 1520, Raffaello e le sue opere erano già entrati
nella leggenda a Urbino, a Firenze, a Roma e non soltanto. Forse anche
il valore ormai assunto della Madonna del Cardellino,
insieme con un sentimento di reverente affezione nei confronti del
quadro che aveva vegliato sul talamo dei suoi genitori, spinse Giovan
Battista
a tentare l’impossibile: la ricomposizione di quei tanti pezzi
di legno che, se non bastavano a restituire alla tavola la sua integrità,
certo vi si avvicinavano molto. Consegnati a un qualche artefice di
solida formazione fiorentina, abile nel maneggio del legno quanto nella
pittura,
i frammenti furono davvero ricomposti e dove occorreva integrati con
un risultato d’eccellenza, come dimostrò la prima radiografia
del dipinto, pubblicata in Firenze restaura. Il Laboratorio
nel suo quarantennio: mostra di opere restaurate dalla Soprintendenza
alle
Gallerie, guida alla
mostra (Firenze, Fortezza da Basso, 1972), a cura di U. Baldini e P.
Dal Poggetto, Firenze 1972.
Giorgio Vasari nella sua Vita di
Raffaello,
dopo
il racconto del tragico episodio, diede la dovuta enfasi al successo
dell’ardito
restauro: «ritrovati i pezzi d’essa [tavola] fra i
calcinacci della rovina, furono da Batista, figliuolo di esso Lorenzo,
amorevolissimo
dell’arte, fatti rimettere insieme in quel miglior modo che
si potette».
E non solo nel miglior modo, ma anche abbastanza in fretta. Perché una
pur minimale cronologia delle fasi della redazione del monumento
letterario di Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti
architetti, pittori, et scultori italiani, pubblicate nel
1550, mostra che l’incidente
al quadro occorse proprio mentre la stesura delle Vite entrava
nella sua fase più “calda”. Sin dalla fine del
1546 «cominciano
a spesseggiare nella corrispondenza vasariana i riferimenti all’attività letteraria,
alla messa a punto delle Vite, la revisione, la copiatura,
la composizione tipografica ed illustrativa, la correzione delle
bozze» (A. Rossi,
Nota testologica, in Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti
architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi
nostri, nell’edizione per i tipi di Lorenzo Torrentino,
Firenze 1550, a cura di L. Bellosi e A. Rossi, presentazione di
G. Previtali,
2 voll.,
Torino 1986, I, p. xxix). Ai primi di maggio del 1547 erano scritti
l’inizio
e il corpo centrale; alla fine dell’anno era giunto a termine
il cosiddetto “apografo riminese”, un manoscritto corretto
dall’abate
Gian Matteo Faetani, che fu inviato in lettura ad Annibal Caro
e a Paolo Giovio. Il Caro, avendo visto «parte del commentario
che avete scritto de gli artefici del disegno», inviò al
Vasari una lettera di osservazioni e incoraggiamenti il 15 dicembre
di quell’anno;
e nel gennaio del 1548 gli scrisse, non meno entusiasta, il Giovio.
Dopo
altre consultazioni e revisioni, il manoscritto fu avviato in tipografia
nell’estate 1549. Il lavoro sarebbe andato avanti speditamente
e nel febbraio 1550 si era giunti alla vita di Michelangelo, benché poi,
di correzione in correzione, il libro fosse pronto solo alla fine
di marzo. E dunque, tra il novembre 1547 (data accertata del crollo,
e
non ’48
come ricordò il Vasari) e un periodo ragionevolmente coincidente
con la fine della stesura delle Vite Raffaello compreso, circa
nella primavera 1549, il restauro era stato commissionato, era
stato eseguito,
e ne era
giunta notizia al biografo: un anno e mezzo circa, nel corso del
quale Giovan Battista Nasi avrà pur dovuto occuparsi di
altri urgenti affari specie riguardanti il suo patrimonio, messo
alla prova dalla
perdita della casa, dell’arredamento e di altri valori e
beni.
La relativa rapidità con cui fu concluso l’intervento
riparatore, di effetto egregio e di lunga tenuta, non va solo
a merito del Nasi che,
diremmo oggi, lo considerò una sua priorità: ma
torna a lode del pittore, sulla cui identità vengono proposti
argomenti convincenti. Se si trattasse, come crediamo verosimile
grazie alle ricerche di Antonio
Natali, di Ridolfo del Ghirlandaio, la maestria tecnica messa
al servizio di una così delicata occorrenza gli sarebbe
venuta dal patrimonio di saperi della bottega paterna, non meno
che dall’apprendistato
svolto presso Fra’ Bartolomeo, al quale si era rivolta
l’ammirazione
di Raffaello stesso durante il suo soggiorno fiorentino. Ridolfo,
nato nel 1483, era coetaneo di Raffaello, ma essendo sopravvissuto
di gran lunga
al Sanzio, e avendo allora sessantasei anni, era artefice più che
esperto. Il resto è ormai ben noto: passata nella proprietà dei
Medici, la Madonna, di cui si conoscevano i traumi e
i restauri, fu sempre e soltanto riverniciata fino a diventare
opaca e giallastra,
per il timore
di danneggiare quanto restava della superficie originale dipinta
da Raffaello.
Può sembrare, anzi ha ragione di sembrar
lungo, in confronto, l’intervento
di restauro a cura dell’Opificio delle Pietre Dure iniziato
nel 1999, che da poco si è concluso. Ma a noi – ad
Antonio Paolucci e a Giorgio Bonsanti, miei predecessori responsabili
a quel tempo della
Soprintendenza con la Galleria degli Uffizi e dell’Opificio,
nonché al
direttore del Settore Dipinti mobili Marco Ciatti con Cecilia
Frosinini, alla restauratrice Patrizia Riitano, agli esperti
scientifici e a tutti
coloro che con varia competenza hanno reso possibile questo straordinario
recupero – a noi era dato pianificarlo non nel tumulto
emotivo di un disastro appena avvenuto, bensì, a distanza
di secoli, nella pacata consapevolezza d’aver davanti un
capolavoro assoluto di Raffaello che aveva sofferto quant’altri
mai ma che, proprio a causa dell’antico
trauma testimoniato dalla fonte coeva, aveva serbato ampie zone
di integrità indisturbata,
che le indagini di una sempre più avanzata diagnostica
applicata alle opere d’arte consentirono di individuare
e quantificare. Vi era un’ampia superficie pittorica autografa
da ritrovare tramite la pulitura nonché da collegare,
nel segno di una sommessa consonanza, con gli inserti lignei
creati ex novo a suo tempo per completare la tavola
nelle parti mancanti e dipinti, peraltro, con grande maestria.
La
diagnostica approfondita e varia, le fasi prudentissime dei saggi
di scopertura del colore, il cauto e lento intervento di
pulitura,
la meticolosa
e sensibile reintegrazione pittorica delle lacune sono narrati
in sintesi in questo catalogo, testimonianza di una mostra che
si è potuta
organizzare in Palazzo Medici Riccardi, antica dimora dei Medici,
grazie all’immediata disponibilità del presidente
della Provincia di Firenze Matteo Renzi e dell’assessore
alla Cultura e al Turismo Giovanna Folonari in questo inverno
2008-2009. E poiché l’iniziativa
ha l’autorevole sostegno del Presidente della Repubblica
Italiana Giorgio Napolitano, sono a esprimergli la massima gratitudine
per il suo
sensibile interessamento, che riconosce il valore dell’intervento
delicatissimo e senza precedenti portato a compimento da strutture
e professionisti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali,
confermando una volta di più l’affidabilità e
la solidità di
quel sistema pubblico e segnatamente statale della tutela e della
gestione del patrimonio artistico che in Italia periodicamente
e trasversalmente è ormai
d’uso mettere in discussione. La mia riconoscenza va inoltre
al Consigliere del Quirinale Louis Godart, alle banche e agli
enti che hanno sostenuto
finanziariamente l’iniziativa e a tutti coloro che messo
a disposizione la loro professionalità affinché la
città intera con
i suoi visitatori internazionali potesse, grazie alla mostra,
condividere l’esperienza intellettuale ed emotiva del ritorno
del capolavoro restaurato alla visione pubblica.
A mostra finita,
la Madonna del Cardellino tornerà nella sala
26 della Galleria degli Uffizi, che Raffaello condivide con Andrea
del Sarto,
in una sequenza di capolavori così fitta da dar le vertigini,
che si prevede di diradare nell’allestimento futuro dei
Nuovi Uffizi, lasciando ogni quadro libero di esprimere la potenza
della sua “aura”.
Cristina Acidini
Soprintendente per il Patrimonio Artistico, Storico ed Etnoantropologico
e per il Polo Museale della città di Firenze - Introduzione al catalogo: "L'amore,
l'arte e la grazia - Raffaello - La Madonna del Cardellino
Restaurata" ed. Mandragora
Indice:
La Madonna del Cardellino Restaurata
Mostre in Palazzo Medici Ricardi