"L’alchimia e
le arti.
La Fonderia
degli Uffizi: da laboratorio a stanza delle meraviglie"
"Le
fonderie fiorentine" da
l'estratto "Una storia di storie. ..."
di Valentina Conticelli - Visite
guidate alla mostra - Fino al 3 febbraio 2013

"Una
storia di storie. La fonderia del granduca: laboratorio, Wunderkammer
e museo farmaceutico"
dalla presentazione di Valentina Conticelli, curatrice della
mostra, nel catalogo della mostra pubblicato nelle edizioni Sillabe.
"Fino alla seconda metà del
Settecento la Galleria degli Uffizi è stata
un museo di musei, un teatro di molteplici saperi, in cui discipline artistiche,
tecniche e scientifiche, unite da un comune tessuto filosofico e concettuale,
esaltavano la lungimirante magnificenza dei granduchi di Toscana.
Le raccolte
di antichità, le immagini degli illustri della storia antica e moderna,
i dipinti più famosi, gli strumenti scientifici, i vasi in pietra
dura e le armi, erano affiancati da abili ebanisti, maestranze eccellenti
del commesso fiorentino, orefici, orologiai, liutai e confettieri
che lavoravano nelle botteghe della Galleria.
Il nucleo originario di questo
lungo processo
di accumulo di oggetti e di conoscenze è la Tribuna, favolosa caverna
di tesori erede dello Studiolo di Palazzo Vecchio, in cui l’esposizione
di naturalia, mirabilia e pretiosa celebrava il mecenatismo collezionistico
di Francesco I de’ Medici (1547-1587).
Fu proprio il cantiere per
la decorazione della Tribuna, principiato nel 1582, a far sì che
artisti e artigiani prendessero posizione lungo il corridoio del secondo
piano degli Uffizi e con loro il granduca che, in una stanza appositamente
allestita per lui, lavorava al suo ‘banco di gioie’ sovrintendendo
alla produzione artistica delle botteghe e all’allestimento della
sua ‘spelonca’. Vicino alla sua stanza Francesco fece predisporre
un ambiente per permettere al figlio Antonio di giocare non troppo discosto,
affinché egli, fin da bambino, potesse dedicarsi alle arti predilette
dal padre all’insegna del virtuosismo principesco.
In fondo al corridoio,
dove alcuni dei soffitti a grottesca celebrano il suo amore per Bianca
Cappello, Francesco ordinò l’allestimento di un camerino con
opere d’arte per l’amatissima consorte, ove la granduchessa
potesse “riposare l’estate” vicino al marito e al figlio.
In questo panorama in cui l’eccellenza artistica si intreccia con
la vita familiare del granduca, che “tramette li piaceri nelli negozi,
e nelli negozi li piaceri”, non poteva mancare un luogo in cui egli
potesse dedicarsi alla sua attività d’elezione, quella che
meglio incarnava la sua passione per la ricerca dei ‘segreti di natura’:
l’alchimia.
Le fonderie fiorentine
Nel Cinquecento l’alchimia era un’attività comune
in molte corti italiane, questa disciplina, oltre che mirare alla trasmutazione
dei metalli in oro, si interessava a tutti i processi di trasformazione
della materia e comprendeva, di conseguenza, ambiti di sperimentazione
protochimica che agli occhi moderni paiono estremamente eterogenei.
L’alchimia
poteva coniugarsi, nei suoi aspetti tecnici, con prassi artigianali e artistiche
di diverso genere quali l’oreficeria, la ceramica, la lavorazione
del vetro, della porcellana e della scultura in porfido.
L’aspetto
medico farmaceutico era assai rilevante nella sperimentazione alchemica
di questo periodo, perché la ricerca della trasmutazione andava
di pari passo con quella dell’‘elixir’, il farmaco
universale che poteva purificare non solo i metalli, ma anche l’uomo
dalle impurità e
dunque dalla malattia.
Nel XVI secolo le
applicazioni dell’alchimia
in medicina consistono principalmente in due tecniche che non si escludono
l’un l’altra: una più orientata verso distillazione
dei semplici, l’altra verso la distillazione di materiali diversi,
quali i metalli e altre sostanze di origine naturale, esercitata quest’ultima,
soprattutto grazie all’influenza di Paracelso (1493-1541).
A partire
dalla fine del Cinquecento infatti, anche a Firenze e proprio nell’ambito
della fonderia, si risentì fortemente l’influenza
dello scienziato tedesco che intese l’alchimia soprattutto
in senso medico e terapeutico.
Le radici teoriche
della sperimentazione alchemica risalgono alla teoria dei quattro elementi,
alla teoria
umorale, alla tradizione
aristotelica
e pseudo aristotelica e all’alchimia araba, trasmesse nel
Medioevo da un’ampia produzione letteraria.
Inoltre l’alchimia è caratterizzata
da un linguaggio simbolico che esprime in immagine le metamorfosi
delle sostanze che avvengono nell’alambicco, nel forno
o nel crogiolo.
A tal fine ricorre all’uso di figure meravigliose
e mostruose – talvolta
elaborate con intento retorico o mnemotecnico – in cui
elementi dell’iconografia
mitologica e cristiana danno vita a straordinari sincretismi
iconici.
L’alchimista,
che indaga i recessi più segreti della natura e che
cerca la purificazione della materia deve compiere un processo
di ascesa
e affinamento
intellettuale
e spirituale per potersi avvicinare alla rivelazione dei segreti.
Francesco
I ereditò sicuramente dal padre l’interesse per
le scienze e per le dottrine spagiriche e una vivida testimonianza
degli interessi alchemici di Cosimo (1519-1574) si conserva nelle ricette
scritte
di suo pugno, nei manoscritti e nei ricettari redatti da alcuni protagonisti
della sua corte.
Prima del 1554,
anno in cui cominciarono i lavori di Vasari in Palazzo Vecchio, non
si conosce esattamente la
collocazione
della fonderia
ducale, mentre a Firenze erano già attive le farmacie di San
Marco e di Santa Maria Novella. Inoltre proprio a Firenze, già nel
1498, era stato dato alle stampe il primo ricettario volgare che
sarà riedito
con importanti modifiche nel 1550 con una dedica a Cosimo I. A partire
dal 1556 l’officina alchemico-farmaceutica ducale doveva essere
situata al pianterreno della Torre di Nembrot, in Palazzo Vecchio,
sotto la stanza
di Clemente VII. Nel 1558 l’architetto aretino avrebbe voluto
spostarla perché minacciava gli affreschi che aveva appena
finito di dipingere, ma il duca si oppose. L’ambasciatore veneziano
Vincenzo Fedeli osservava ammirato, nel 1561, la produzione farmaceutica
della fonderia, descrivendo
il sovrano affaccendato in quell’“infinita varietà di
fuochi, di fucine, di fornetti, e lambicchi”, dove si reca “spesso
e vi sta e vi lavora di sua mano con grandissima sua dilettazione” non
disdegnando “eziandio la investigazione de’ metalli”.
Sodale
di Cosimo e Francesco nell’interesse per l’arte aurifera,
la porcellana e le gioie false fu Antonio Altoviti (1521-1573),
arcivescovo di Firenze. Egli condivise con i granduchi il rapporto
con due figure
di rilievo: Sisto da Norcia e Sebastiano Manzone. Vetraio, vasaio
e alchimista,
Sisto da Norcia dedicò a Cosimo un importante manoscritto
d’alchimia
in volgare, mentre Sebastiano servì i Farnese e la corte
pontificia come distillatore, e infine si recò a Firenze
dove allestì e
sovrintese ai laboratori di distillazione e d’investigazione
metallurgica del Casino di San Marco.
Con Francesco I
le officine alchemiche subirono sicuramente una forte espansione, ed è probabilmente
per questo motivo che i laboratori della fonderia furono trasferiti
da Palazzo Vecchio al Casino di San Marco, dopo la morte
di Cosimo. Il granduca, andava ogni giorno al Casino e praticava
personalmente, insieme ai suoi artefici, come e più del
padre, le arti del vetro, della porcellana, dell’oreficeria
e dell’alchimia: gli oggetti
d’arte e i rimedi farmaceutici prodotti in quell’officina
venivano poi condotti quotidianamente nei camerini delle sue
residenze granducali."

©www.zoomedia.it - vanna innocenti - 15 dicembre 2012
Nell'immagine si vede una scena dipinta su tela nel 1619, La bottega dell'alchimista, di
Filippo Napoletano (Roma 1589-1629).
Nella bottega descritta, con l'alchimista e i suoi collaboratori, sono presenti
numerosi oggetti d'uso: alambicchi, bacili di rame, brocche di terracotta, sacchi
di
materia
prima,
l'incudine,
una fornace, uno strettoio, sono presenti forni, un apprendista pesta nel
mortaio, ad un tavolo lavora il compilatore di ricettari. L'ambientazione,
non certa, potrebbe essere stata ispirata alle stanze al pian terreno della fonderia
nel
Casino
di San Marco.
"Proprio nel Casino
di San Marco Francesco accolse tra il 1579
e il 1581 un gruppo di tre ‘compagni’, legati
tra loro da un giuramento di fedeltà e perseguitati
dal duca di Mantova. Essi dovevano operare la trasmutazione
e copiare
per lui alcuni codici, attribuiti a quel tempo
a Raimondo Lullo, di cui sostenevano di essere gli unici
possessori. Uno di loro osò proporre al sovrano l’istituzione
di una confraternita alchemica segreta presso il Casino di
San Marco: questa sembra paragonabile
a un’accademia occulta descritta nei libri di segreti
di Alessio Piemontese.
I temi legati alle
arti praticate al Casino trovano grande spazio nella decorazione della
parete
del fuoco dello Studiolo
di Palazzo
Vecchio,
dove compaiono il vetro, la distillazione, la fusione dei
bronzi e l’oreficeria
e dove era prevista un’immagine dedicata alla porcellana.
Alcune di queste scene sono ambientate nel cortile degli
Uffizi,
quasi a presagire il trasferimento delle botteghe che avverrà a
partire dal 1582 e che, oltre alle necessità derivanti
dal cantiere della Tribuna, sembra fosse motivato anche
dalla volontà del granduca
di allestire un’abitazione degna di un principe per
suo figlio don Antonio al Casino di San Marco." ...
Di
Valentina Conticelli Curatrice della mostra
Estratto dal testo in catalogo, edizioni Sillabe.
©www.zoomedia.it
- vanna innocenti - 15 dicembre 2012
Nell'immagine, dall'alto a sinistra, si vedono gli oggetti
dei secoli XVII e XVIII: l'ampolla fiorentina in vetro
della spezieria
di Santa Maria
Novella,
l'athanor,
un particolare fornello proveniente dal Museo storico
Nazionale dell'Arte Sanitaria di Roma, due storte in
terra refrattaria provenienti dal Museo Galileo di
Firenze. Sul piano più in basso, con
la mandibola di squalo bianco della seconda metà dell'
Ottocento (alla mostra dalla Sezione
di Zoologia "La Specola" del Museo
di Storia Naturale di Firenze)
si vedono due pagine dell'edizione del 1717 di un volume
proveniente dalla Biblioteca Marucelliana. Il volume
inizialmente fu manoscritto
e illustrato dal medico e naturalista
Michele Mercati (San Miniato
1541
- Roma 1593) che organizzò la Metalloteca Vaticana, una collezione
di minerali, fossili, marmi e statue distribuita e
ordinata in 19 armadi.
Indice mostra: L’ALCHIMIA
E LE ARTI. La Fonderia degli Uffizi: da laboratorio
a stanza delle meraviglie
