Giovanni Paszkowski "L'ora sospesa"
21 settembre - 11 novembre 2006
Museo Marino Marini, Firenze
Nell'ambito del ciclo di esposizioni "Controcampo",
organizzato dal Museo Marini di Firenze, a cura di Antonio Natali, dedicato
agli artisti
fiorentini e toscani che svolgono la loro ricerca nell'ambito della tradizione,
il museo ospita la mostra di Giovanni Paszkowski dal titolo "L'ora
sospesa".
Presentazione di Carlo Sisi
L'ora sospesa di Antonio Natali
Senza calma né ansia di Federica Chezzi
"Senza calma né ansia" di Federica Chezzi
Soffici, Carrà, Rosai, Conti, Messina e poi ancora Prezzolini, Cicognani,
Bargellini, Spadolini. Questi solo alcuni dei grandi personaggi che Giovanni
Paszkowski incontra nella sua adolescenza, amici e colleghi dell’imponente
nonno materno, Giovanni Papini.
Dotato di quel talento – il disegno – per
eccellenza fiorentino, lo si darebbe facilmente inserito nel protettivo
ambiente della città-paese.
Ma Paszkowski guarda altrove.
Sceglie il ‘mondo nuovo’ della
grafica, della pubblicità,
del mercato internazionale; si appassiona ai nuovi stimoli, alle nuove tendenze;
cerca fin da subito un’autonomia economica e per ottenerla è disposto
a rinunciare alla sua arte. Guadagna così una sua indipendente e cosmopolita
formazione artistica e culturale.
Nato nel 1934 a Firenze, Paszkowski vive
a Roma fino agli anni dell’immediato
dopoguerra quando, con la famiglia, sarà di nuovo nella città natale.
Nel suo retroterra culturale di bambino e adolescente Paszkowski custodisce
l’esperienza
della madre Viola, che dipinge e scolpisce con talento; il ricordo del nonno
paterno, intraprendente imprenditore e console di Polonia fino al 1939; le
visite fatte da bambino, assieme ai genitori, alle gallerie romane, dove
impara ad apprezzare
Sironi, Casorati, la Scuola Romana, Scipione. Ricorda le giornate passate
a osservare Soffici che dipinge, ospite per lungo tempo nella casa paterna
dopo il campo
di prigionia nel Lazio, e le visite degli intellettuali fiorentini nella
casa di Firenze e di Forte dei Marmi.
A diciassette anni disegna la copertina
della
ristampa di Gog e de Il libro nero di Papini (’51),
editi da Vallecchi, con campiture piatte e una davvero sorprendente e
precoce sintesi di forme.
Il suo primo lavoro, ancora adolescente, per la copertina di Passato
remoto (’48)
gli fruttò – racconta oggi sorridendo – dei copertoni “nuovi
fiammanti” per la bicicletta.
Seguendo la sua vocazione artistica,
Paszkowski frequenta l’Istituto d’Arte
di Porta Romana, dove conosce Giuliano Vangi e assieme a Mario Fallani
segue le lezioni di Alessandro Parronchi, i corsi di Pietro Parigi
sulle Arti Grafiche – incisione
su rame, xilografia e litografia – e si diploma nel ’53.
Una
volta diplomato però, Paszkowski avverte, come esigenza improrogabile,
il desiderio di costruirsi una propria strada. Mette da parte la
carriera artistica appena iniziata e si sposta a Milano, dove lavora
un breve
periodo alla Mondadori
per la rivista Epoca (diretta allora da Enzo Biagi) e si
appassiona alla produzione grafica.
Torna a Firenze ed entra alla
casa editrice
Bemporad Marzocco (oggi
Giunti) come grafico e impaginatore.
Attirato da una creatività che
si inserisce fattivamente nella produzione industriale, si occupa
di grafica pubblicitaria
per la società italo-americana Emerson. Nel ’61 viene
chiamato nuovamente a Milano come direttore artistico dell’agenzia
CEI, che cura campagne pubblicitarie e il packaging di marche importanti
quali Saiwa, Perugina, Omsa, Piaggio, Bourbon.
Sono gli anni in cui l’industria pubblicitaria orienta il
gusto collettivo, rappresentando uno degli anelli fondamentali
dell’economia
italiana e Paszkowski è a
Milano, soggetto partecipe e protagonista di questo settore, lavorando
per le più importanti industrie italiane.
La sua creatività si
indirizza quindi verso un’impronta estetica
essenziale, asciutta, quale è quella grafica degli anni ’50
e crea famosi design ancora oggi in uso. In tutti gli anni milanesi
Paszkowski continua
a disegnare (stupivano i suoi layout fatti a mano libera), ma non
dipinge.
Racconta, oggi, di aver sempre creduto in suo ritorno alla pittura;
ed è forse
grazie anche a questa certezza che ha metabolizzato i nuovi linguaggi
artistici transitati in quegli anni da Milano, pur non esercitando.
Finiscono
gli anni ’60 e Paszkowski assieme alla famiglia torna a
Firenze, dove continua il suo lavoro in una dimensione più autonoma
e raccolta.
La dimensione familiare per Paszkowski ha sempre
avuto una grande importanza
e quella artistica è in effetti una passione che ha saputo
trasmettere anche ai figli. Inizialmente esercita la libera professione
collaborando con
aziende quali Adica Pongo, Bertolli, De Rica, Volvo; nel ’73
si associa poi alla società INTEMA, fusa nel ’76
con la ORMA, e lavora a importanti progetti grafici per Antinori,
Mukki, Centro Leasing e altri grandi marchi. Il
lavoro di pubblicitario continua a essere per lui fonte di entusiasmo
e gratificazioni, ma gli eventi storici degli anni ’70
lo spingono a prendere parola su ciò che
accade in Italia. La sua voce saranno i segni tracciati sulla
tela. Paszkowski torna a dipingere.
Quello che nasce ora dalle
sue mani, dopo tanti anni di silenzio, è un
segno veloce, drammatico, furioso, di chi avverte una vera e
propria urgenza artistica, molto giacomettiano, che tratteggia
con partecipazione
emotiva periferie
deserte dove restano a terra uccellini morti stecchiti (Uccellino
morto, 1977). Istantanee di sofferenza e passione nelle quali
si possono leggere i segni, forse
inconsci, degli eventi e dei lutti italiani; periferie e corpi
esangui che fanno correre alla mente, prima fra tutte, la morte
di Pasolini.
I suoi segni graffitici ‘incidono’ anche, a più riprese,
il volto di un anziano, sempre lo stesso – omaggio esplicito a Giacometti – che
ci guarda dritto negli occhi, senza rimproveri e senza consigli, “senza
avere, direbbe Mario Luzi «calma né ansia»”,
(1) ma che ci invita, chiaramente, a guardare dentro di noi;
sono dipinti del ’77
e le preoccupazioni sono quelle di un uomo che attraversa assieme
all’intero
paese un passaggio difficile di svolta e incertezza.
Paszkowski
sceglie riferimenti universali: l’inquadratura del soggetto
e la sua disposizione isolata nello spazio citano Francis Bacon
e si inseriscono nel cruciale nodo così ben
sintetizzato da Gilles Deleuze: «È come se [la
pittura] avesse due vie possibili per sfuggire al figurativo:
verso la forma pura, per astrazione;
oppure verso il puro figurale, per estrazione o isolamento».
(2)
Nel 1978 arrivano le prime, importanti, esposizioni di Paszkowski:
al Gabinetto Vieusseux di Firenze, dove Raffaele Monti lo presenta
e lo
incoraggia al
percorso artistico, e a Bologna, in un’esposizione curata
da Raffele La Capria.
Negli anni Ottanta muta la situazione
politica e sociale e Paszkowski, mai fuori
dal corso degli eventi anche se di carattere schivo, muta anche
la sua pittura. Resta talvolta l’uomo che ci osserva
(Il corridoio verde, 1981), resta in parte il segno
graffiante degli esordi, ma la sua pittura inizia ad acquietarsi.
I suoi riferimenti restano universali e attuali: Paszkowski è ancora
una volta a proprio agio nell’immaginario collettivo
europeo – e non
solo pittorico – che guarda con interesse e ammirazione
all’America
di Hockney e Hopper. Si pensi all’affinità, una
per tutte, tra l’opera
di Paszkowski – la più vicina, Strada della
Florida,
2002 – e
il lavoro di Wim Wenders, Written in the West, 1987.
(3) Già conosce
e ama Hopper quando va a trovare la figlia negli Stati Uniti
e quelle atmosfere sospese,
quelle architetture inconfondibili, quelle grandi strade diventano
definitivamente i suoi orizzonti.
Non è più il
momento dell’irrequietezza ma quello della contemplazione
e della riflessione e Paszkowski inizia, e continua ancora
oggi, a ‘fotografare’ le
architetture di una metropoli cosmopolita (Metropolitana, 1980).
Tra le nette linee verticali e orizzontali di un’architettura
moderna, che ricorda anche le geometrie di Mondrian e ben si
lega alla sua attività grafica, si inseriscono – sempre – uomini
e donne. Anche se talvolta la presenza umana può sembrare
marginale (L’uscita,
2000) è in realtà il punto focale e il perno
sui quali si regge l’intera struttura del dipinto; e
anche le piante, gli alberi, i prati raffigurati non sono mai
parte di una natura spontanea, ma chiaramente governata
e inserita nella città dall’intervento dell’uomo.
Già dagli
anni ’90 Paszkowski è un riconosciuto e apprezzato
pittore: nel 1995 espone per l’assessorato alla cultura
del Comune di Firenze a cura di Michele Dzieduszycki, nel ’96
a Roma con la presentazione di Tommaso Paloscia, nel 1997 alla
Stamperia della Bezuga in una mostra a cura di
Antonio Natali, nel ’98 alla galleria il Bisonte a cura
di Mauro Pratesi, e poi ancora per Natali e Francesco Gurrieri
all’Accademia del Disegno
(2001) e nel 2003 a Ferrara per Lucio Scardino. Recentemente
il Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi ha acquisito otto
disegni di Paszkowski. Sue opere sono
state esposte anche a New York, volute dal gallerista Michel
Steinberger di Los Angeles all’Artexpo del 2003. Nel
2000 ha invece partecipato alla collettiva Le palme tra
botanica e arte organizzata al suggestivo Real Orto Botanico di
Napoli. È da poco conclusa, inoltre, la personale alla
Galleria Tornabuoni di Pietrasanta (Lu).
Dal 2000 il segno di
Paszkowski si distende, si placa, si uniforma e diventa sempre
più nitido, le campiture di colore diventano più omogenee
e definite. La costruzione del dipinto è sempre ben
bilanciata e armonizzata da un’atmosfera cristallina
quasi palpabile, da un’aria che diventa
protagonista e dà equilibrio. I soggetti sono adesso
diventati gli interni di quelle architetture già viste
esternamente, sale di musei in cui uomini e donne, per lo più solitari,
si riflettono in opere d’arte
che citano, stavolta in un omaggio esplicito, i numi tutelari:
Giacometti, Moore,
Marini.
E anche se adesso, nei suoi quadri, è più forte
il «piacere
estetico di vedere»,(4) si mantiene intatto il senso
dato ai suoi primi dipinti degli anni ‘70, nel mostrare
il piacere e il valore (talvolta la necessità) della
riflessione: che sia con la situazione storica vissuta, con
l’opera
d’arte, con altri esseri umani o animali; ‘specchi’ nei
quali lo spettatore è invitato a indagare il senso dell’esistenza.
Ed è, questa, una magistrale sintesi tra le tendenze
artistiche attuali e la sua grande capacità disegnativa,
contributo importante al connubio tra contemporaneità e
tradizione.
[1] M. Dzieduszycki , Giovanni Paszkowski. Opere
1970-1995, catalogo della mostra, Sala Lorenzo, Assessorato alla Cultura,
Firenze, p. 3
[2] G. Deleuze, Francis Bacon. Logica della sensazione. (ed. or. Francis
Bacon. Logique de la sensation, Paris, 1981), ed. it., Macerata, 2002,
p. 14.
[3] W. Wenders, Written in the West, Monaco, 1987
[4] A. Natali,Giovanni Paszkowski,catalogo della mostra, Accademia delle
Arti del Disegno, Firenze, 2001, p. 12.
Presentazione di Carlo Sisi
L'ora sospesa di Antonio Natali
Senza calma né ansia di Federica Chezzi
Giovanni Paszkowski L'ora sospesa
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Arte: eventi in programma e in
corso
Arte: mostre concluse