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Cupola del Brunelleschi da Varlungo, via Monsignor Leto Casini
- 22 aprile 2005
Varlungo
(dal testo di Don Leto Casini "Ricordi di un vecchio
prete" pagine
42 in parte, 43 e parte della 44. Editrice la Giuntina - Firenze 1986)
(...)
Incominciai
a preparare lo sgombero senza sapere dove e come fosse Varlungo, tale e
quale come era stato per gli sgomberi precedenti.
Ubbidire, per
me addomesticato in tanti anni di seminario, era come respirare.
Oggi, lo so,
ubbidire è da pecore - secondo le teorie moderne. - Sarò una
pecora, ma io mi son ritrovato bene. Ho sempre pensato che sia più facile
e piacevole ubbidire che comandare.
Compatitemi, se vi piace!
Prima di addentrarmi a parlare di quel
poco che ho fatto a Varlungo, desidero parlare della mia fede
politica.
Fino a venti anni, nulla:
non sapevo nemmeno
che cosa volesse dire "politica"; in seminario era
proibito, come le pistole corte, leggere qualsiasi periodico,
fosse pure
cattolico, religioso
al cento per cento.
Unica fonte d'informazione: il rettore, il
quale era piuttosto parco nel fornirci notizie di carattere....
Però che l'Italia
era entrata in guerra il 24 maggio 1915, il giorno dopo, ce lo
disse! Ci disse anche della fine vittoriosa di quella guerra
il 4 novembre 1918 e perfino
ci accordò un giorno di vacanza!
Ormai cresciuti, le notizie
ci arrivavano da tutti gli spiragli anche in seminario, ed erano
notizie allarmanti di tafferugli,
disordini
nelle città e
anche nei paesi nel tentativo di coinvolgere anche l'Italia nella
rivoluzione sovietica dell'ottobre 1917.
Io in quegli anni turbolenti
1920, '21, '22,
ricordo di aver tanto trepidato per la vita del fratello Tito,
allora giovane universitario. Il suo spirito profondamente cristiano
e il suo schietto carattere
non tolleravano le subdole menzogne che, nei frequenti comizi,
venivano elargite alle popolazioni semplici da parte di scaltri
propagatori, spesso in mala
fede; e allora saltava sul palco da dove era appena sceso l'oratore
e con estrema chiarezza, contraddiceva punto per punto quanto
era stato asserito,
citando fatti e smascherando con precisi dati biografici, personaggi
che erano stati presentati come puri eroi sostenitori dei diritti
della classe
proletaria.
A certi argomenti non ci si poteva opporre che con la violenza,
e diverse volte, quasi per miracolo, Tito scampò la morte.
Il
fascismo, per aver fatto cessare tutti quei comizi, mi parve
una benedizione di Dio, e vi aderìì con tutta l'anima,
ma questo entusiasmo durò poco, fino al 1925. In quell'anno
avvenne l'assassinio dell'onorevole Giacomo Matteotti. Assassinio
voluto da Mussolini
per mettere a tacere un
avversario politico scomodo. Questo delitto incise tanto nel
mio spirito che non glielo potei perdonare, e aggiungendovi poi
le vittime e le violenze
perpetrate dai manganelli degli squadristi, divenni decisamente
antifascista.
Neppure il Concordato con la Santa Sede, mi fece
ricredere. Esultai per l'avvenimento, ma
ne attribuii
il merito
solo alla Santa Sede. In Mussolini vidi l'abile politico; prestandosi
quel fatto
ad attirare alla sua causa gran parte dei cattolici restii a
fregiarsi il petto col "brigidino" portante le lettere:
P.N.F. che avrebbero voluto dire: Partito Nazionale Fascista,
ma che la gente sarcasticamente
traduceva: Per Necessità Familiare, infatti chi non si
iscriveva al partito difficilmente trovava lavoro.
Come sacerdote,
e soprattutto come parroco non potevo ostentare tale avversione:
chi ha cura delle anime non deve guardare se
si nascondono
sotto camicie
bianche, rosse o nere, deve amarle tutte e in tutte cercare d'infondervi
la grazia di Dio. Ma che non mi chiedessero in nome del partito,
cose che non consideravo convenienti: suonare le campane per
celebrare avvenimenti
nazionali, introdurre in chiesa gagliardetti o bandiere di partito,
che avrebbero potuto offendere la fede di chi non accettava quella
che il
gagliardetto
o la bandiera significavano.
A proposito di campane ricordo l'accesa
discussione che dovetti sostenere a Marcoiano con alcuni che la sera del
9 maggio 1935
vennero a chiedermi
di suonare un bel doppio per celebrare la conquista dell'Etiopia
da parte delle nostre truppe e la proclamazione dell'impero,
dipendente da Roma.
In conclusione dissi loro che era inutile che insistessero,
non avrei mai permesso che per quell'avvenimento si suonassero le campane,
essendo
state benedette perché servissero solo per chiamare i fedeli al culto
e per scongiurare pubbliche calamità. Sonandole ora che è già notte,
non essendoci nessuna cerimonia religiosa, la gente penserebbe
ad una grave calamità;
anche voi la pensate così? Se l'impara il federale, state
lustri!
Tornai poi fascista il 26 luglio 1943 quando, sparsa ovunque
la notizia che Mussolini era stato destituito e arrestato, vidi
quella
massa
di fanatici che s'era consumata
la lingua nel leccare i piedi al loro idolo e spellate le mani
per applaudire
ogni suo gesto, ora, caduto in disgrazia, con altro e tanto zelo
cercare di demolire quanto in venti anni aveva costruito, e imbrattare
i muri
delle case
con scritte
infamanti.
Purtroppo questo periodo nuovo del mio fascismo, non
durò più di
tre mesi: fino a che quel disgraziato pianeta Mussolini tornò con
una scia di satelliti a girare intorno a quell'astro sinistro,
Hitler, che per molti
secoli, insieme a pochi altri, sarà ricordato come "Il
mostro del secolo ventesimo".
Da allora mia politica: rispetto dell'uomo a qualsiasi estrazione
religiosa, politica, sociale appartenga, vedere in lui la sapienza
e la misericordia
di Dio, e di conseguenza: amarlo.
La partenza per la nuova destinazione
fu ritardata di qualche mese, avvenne il 7 maggio del 1937, non
so per qual motivo, mi
guardo
sempre da far
domande oziose
ai miei superiori.
La chiesa, la casa parrocchiale e le adiacenze
non mi parvero un gran che, ma in compenso la giornata era molto bella.
I
primi contatti con i nuovi fedeli li ebbi in occasione del "mese mariano" funzione
che si diceva ogni sera in onore della Madonna. Io amante
del bel canto, mal sopportavo le stonature e, peggio ancora, le storpiature,
molto
frequenti, delle
parole latine nel canto degli inni sacri. Non dico che si
arrivasse a quanto racconta mons. Olgiati d'aver sentito cantare, con molto
raccoglimento,
le parole
del "Tantum ergo": "procedenti ab utroque,
compar sit laudatio" così trasformate
in "accidenti come trotta il caval del sor Laudazio".
No, no a questo punto non si arrivava, ma degli svarioncelli
ce n'erano
ed io ogni sera, finita
la funzione, rendendomi certamente uggioso, cercavo di correggerne
qualcuno. Quei fedeli erano molto pazienti ed intelligenti:
alla fine del mese tutto filava
benissimo.
Con un coretto di voci bianche si misero su delle
Messe in musica a due voci. Messe facili e di effetto, tanto che attiravano
i
fedeli.
Oltre a far da pastore a circa duemila pecorelle,
tanti erano allora gli abitanti di Varlungo, svolgevo anche altre
mansioni:
insegnante
di religione
al Liceo
Michelangiolo, assistente diocesano delle Donne di Azione
Cattolica in sostituzione di Don Giovanni, perennemente
malato, confessore
dell'istituto "figlie dei
Carcerati", e non so che altro che nella mia intraprendenza
giovanile e soprattutto nella mia incoscienza accumulavo.
Queste attività incominciai
a svolgerle fin dal principio che assunsi la parrocchia,
un altro incarico ben più importamte, e che io
accettai con vera passione, mi fu affidato, più tardi,
dall'Arcivescovo Dalla Costa: l'assistenza agli Ebrei
vittime innocenti delle odiose leggi razziali. Permettete
che su
questo mi dilunghi
un po'.
Gli Ebrei
(....)

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L'incrocio stradale per la Chiesa di San Pietro a Varlungo, chiesa documentata
fin dal 1107 pare risalga a prima del Mille