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N. 13 - 04 settembre 2003

Sommario:

Segnalazioni

Premi e Concorsi

Quarta Giornata Europea della Cultura Ebraica

Raduno Alpini a Vicchio (6-7 settembre)

Il Ferro e l'allevamento:
- Il maniscalco

Il Ferro:
- La storia del Ferro
- Artigianato dei metalli nella Cultura Tradizionale Africana


APPROFONDIMENTI:
- Ferro
(n° 12)



L’ARTIGIANATO DEI METALLI NELLA CULTURA TRADIZIONALE AFRICANA

La scoperta del ferro (mito dei Kuba-Bushongo, “uomini del coltello da getto”)
Un giorno Woto (quarto re Bushongo) trovò una grande pietra che Bumba le Chembe (l’Essere supremo) aveva defecato. “Cos’è?”, egli chiese; e la gente rispose: “E’ l’escremento di Dio!”. Allora Woto ordinò che la pietra fosse trasportata al villaggio e che le si tributassero onori. La notte seguente Woto vide Bumba apparirgli in sogno e dirgli: “Tu hai agito saggiamente onorando tutto ciò che da me proviene, anche i miei escrementi. Come ricompensa, ti insegnerò come servirtene”. e così Bumba insegnò a Woto il metodo per estrarre il ferro dal minerale.


In Africa l’origine della metallurgia é antichissima, tanto che la scoperta del ferro entra a far parte della mitologia dove l’eroe fondatore è spesso un fabbro che ha generalmente l’aspetto strano o animalesco, di frequente un nano, immaginato talvolta con la pelle chiara. Il suo arrivo sulla terra e il suo essere il tramite con le divinità superiori regala all’umanità alcune scoperte fondamentali fatte nella sua fucina posta nella boscaglia, in una caverna o addirittura sotterranea: l’uso del fuoco, la ceramica, l’arco e le frecce, l’agricoltura e i suoi strumenti, l’allevamento.. Prima della sua venuta gli uomini non conoscevano il giusto modo di riprodursi e di far nascere i figli; il fabbro insegna anche a dare un nome ai bambini.
In realtà la scoperta e la capacità di lavorare i metalli costituiscono uno di quei passi fondamentali nell’evoluzione tecnica di un popolo che non possono non lasciare un’impronta nella memoria collettiva.
La lavorazione dei metalli è la prima arte a specializzarsi e ad essere esercitata da una casta maschile particolare; gli altri, sia per mancanza di un’iniziazione tecnica sia per un divieto di origine magica, ne sono esclusi.
Nella cultura tradizionale africana, in molti casi, il fabbro viene iniziato alle sue attività per mezzo di particolari cerimonie; anche i suoi strumenti e perfino il luogo dove lavora sono ricoperti di sacralità
Il martello può essere il simbolo del potere politico e giudiziario, come in Ruanda dove costituisce l’emblema dinastico del capo che deve saper fare il fabbro e utilizzare il martello come un cuscino. La fabbricazione di un martello avviene nel corso di cerimonie speciali e gli si da un soprannome che ne evidenzia la forza e la straordinarietà: in Ruanda il martello “umanato” è chiamato “gigante, nano, distributore di nutrimento”; presso gli Ewe del Sudan occidentale il martello sacro veniva portato in guerra e gli venivano sacrificati i prigionieri nella convinzione di nutrirlo. Presso i Bongo di Bahr el Ghazal (Ciad) si giura tenendo in mano il martello secondo la formula “Se io mento possa questo martello uccidermi”. In genere, però, è l’incudine il luogo sacro dei giuramenti e simbolo di fecondità.
Sull’incudine si può esercitare la giustizia: appositi riti “nominano” l’incudine che può o meno accettare l’incarico di scoprire il colpevole di un crimine. In alcuni casi l’incudine è il simbolo dei capi e si sacrifica sulle incudini dei capi defunti; altre volte, particolarmente nei gruppi ad economia agricola prevalente, dove la funzione del fabbro è anche quella di produrre gli strumenti di lavoro essenziali per la prosperità della popolazione, il rispetto per questo eroe-artigiano si evidenzia tramite un complesso cerimoniale che accompagna il ritrovamento e il trasferimento alla fucina della pietra che fungerà da incudine, detta “la madre delle zappe”. Questa verrà trattata analogamente ad una sposa del fabbro e si opereranno dei riti per favorirne la fecondità.
Anche il mantice, con le sue varie tipologie, è ritenuto sacro come un altare e dotato di vita magica.
Le sedi dove opera il fabbro, l’altoforno e la fucina, sono, come nel mito, luoghi appartati e talvolta sacri, come tra i BaKongo o come in Rhodesia, dove i fabbri Cishinga costruiscono vicino alla fucina, per salvaguardarla dalle influenze negative, delle piccole capanne dove fanno offerte agli antenati-fabbri. Gli altiforni sono situati vicino ai giacimenti minerari o comunque lontano dalle abitazioni mentre le fucine sono situate alla periferia dei villaggi; l’accesso a questi edifici è in genere riservato all’artigiano e ai suoi aiutanti, ma talvolta la fucina può diventare luogo di riunione degli uomini, come tra i BaKuba, e tra i BaSakata (dove è sempre posta al centro del villaggio) e sede di società segrete.
In epoca recente si preferisce, lavorando metallo d’importazione, evitare le operazioni di fusione-riduzione del minerale, faticose e circondate da complessi rituali con tabù sessuali, alimentari, igienici.
La figura del fabbro provoca sentimenti diametralmente opposti: presso alcuni popoli ad economia agricola, particolarmente dell’Africa equatoriale, gode di grande rispetto fino a poter assumere le funzioni di capo, come tra i BaKuba del Congo che, pur non riconoscendogli poteri magici, lo rispettano tanto da riconoscerlo come kolomo (capo) e da ricordarne alcuni famosi come Bope Pelenge centottesimo re Kuba vissuto nel XIX secolo o come Miele ottantaseiesimo re vissuto nel XVI secolo; figura particolare è il novantatreesimo re Shamba Bolongongo, vissuto nel XVII secolo, un sovrano illuminato, noto per la sua saggezza, che favorì l’introduzione di nuove tecniche artigianali e fece opera moralizzatrice; abolì l’uso delle armi da getto fra cui il multipunte, arma tradizionale, perché “potevano ferire gli innocenti”; al loro posto introdusse un “coltello di pace” l’ikula. Addirittura tra i Badzing Mukene della Kamsha il mestiere del fabbro è riservato al capo; presso i BaSakanta della zona di Lukenie (lago Rodolfo, attualmente denominato lago Turkana) quasi sempre il fabbro è il fondatore del villaggio e spesso ne è il capo, o comunque il capo “bafumu” può esercitare questo mestiere per diritto atavico; qui il fabbro che si distingue dagli altri abitanti per l’abbigliamento, è anche falegname e batte moneta.
Altri popoli, ad economia pastorale come i Somali, disprezzano l’artigiano dei metalli e lo confinano in una casta inferiore, di origine diversa, evitata e temuta. Ma in ambedue i casi le sue funzioni di guaritore-mago, di ostetrico, di sacerdote dei riti di fecondità, iniziazione, morte, rese misteriose dall’origine meteorica o sotterranea del metallo, oltre che la sua abilità artigiana, lo rendono un individuo speciale, solitario, sia nel comando che nel disprezzo da parte della comunità.


Marco S. Piccardi
tratto da “Lame d’Africa” edito dal Centro di Ricerca e Documentazione sull’Artigianato dei Ferri taglienti - Scarperia

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Pagina pubblicata il 04 09 2003 - Aggiornato il 03-Ott-2012