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Signori di Maremma, élites etrusche fra Populonia e il Vulcente
Introduzione: "L'età dei principi d'Etruria"


© in www.zoomedia.it - vanna innocenti 2009 "Signori di Maremma"
Introduzione del prof Giovannangelo Camporeale con proiezione di immagini;
nello sfondo un'antica significativa arca ritrovata in Maremma.

L’ETÀ DEI PRINCIPI IN ETRURIA

In Etruria, nella fase recente dell'età del ferro (VIII secolo a.C.), si verificano cambiamenti culturali di grande portata: la tomba a fossa con il conseguente rito funebre dell’inumazione si sostituisce a quella a pozzetto, legata al rito dell’incinerazione; spesso le tombe sono riunite in gruppi o sono incluse nell’area delimitata da un circolo di pietre, ad esempio a Vetulonia, con riferimento a una relazione di parentela o di clan che i defunti hanno avuto in vita; si delinea una prima organizzazione della società su basi gentilizie, nel senso di una famiglia allargata a persone che rientrano sotto il “patronato” del pater gentis e che saranno accomunate dallo stesso nomen gentilicium; i corredi funebri diventano più ricchi; gli oggetti importati sono meno rari; i prodotti locali si fanno più raffinati.

Queste sono connotazioni di un ceto aristocratico che sta emergendo, il quale trae profitto dalle ricche risorse del suolo e del sottosuolo della regione: l’agricoltura, la selvicoltura, l’allevamento del bestiame da parata e da lavoro e da macello, la pesca in mare e nei bacini chiusi, la produzione di sale (salgemma e sale marino), le coltivazioni minerarie, senza trascurare la viabilità segnata dalle valli di molti fiumi che facilitano il movimento delle merci; risorse, che davano prodotti che per quantità e qualità erano in grado non solo di soddisfare il fabbisogno locale, ma di entrare in un giro di traffici a largo raggio e, pertanto, di acquistare una valenza economica notevole. Forse ancora nei primi secoli della civiltà etrusca non tutte le risorse erano sfruttate in maniera intensiva, ma certamente lo erano l’agricoltura, le saline, le miniere metallifere, che per la preziosità dei prodotti derivati potevano lanciare i rispettivi gestori nel grande mercato. Ma, si sa bene, il rapporto commerciale è l’inizio di un rapporto molto più largo, di carattere culturale. Le aree interessate al movimento sono diverse e si trovano nel bacino del Mediterraneo e nell’Europa transalpina.

La Sardegna è una regione da cui partono diversi manufatti rinvenuti in Etruria in età del ferro (o villanoviana). A un ricco corredo funebre di Vulci della necropoli di Cavalupo, della fine del IX secolo a.C., sono associati tre bronzi sardi, fra i quali è una figurina di sacerdote-guerriero. È stato detto che possono essere la dotazione di una donna sarda andata sposa a un etrusco (o anche viceversa), ma – si deve aggiungere - un tale matrimonio alla fine del IX secolo a.C. è la sanzione di un rapporto fra le famiglie della coppia, connesso ad affari commerciali. Nel corso dell’VIII secolo a.C. i manufatti sardi in Etruria, in particolare nei centri della costa tirrenica, aumentano in maniera considerevole: bottoni, pendagli, modellini di faretra, armi, navicelle di bronzo, ma essenzialmente brocchette d’impasto dal collo allungato e decentrato. Queste ultime, che dovevano contenere una bevanda usata in qualche cerimonia, sono concentrate essenzialmente a Vetulonia: il fatto si può spiegare con l’arrivo di nuclei sardi, i quali si integrano nella comunità vetuloniese e continuano nella nuova sede usanze della patria d’origine. Essi proverrebbero da una regione in cui l’attività estrattiva e metallurgica era praticata da qualche secolo e si sarebbero inseriti in un’area in cui le stesse attività erano l’occupazione prevalente e qualificante degli abitanti. Il fenomeno che prevede, oltre che una circolazione di merci, una mobilità etnica e un’integrazione sociale, innesca un processo di transfert culturale.

Dai decenni centrali dell’VIII secolo a.C. l’Etruria si apre alla mercanzia del Vicino Oriente. A titolo esemplificativo si possono menzionare una boccettina d’argilla di produzione fenicia e un vaso di terra smaltata con iscrizione geroglifica con il nome del faraone Bocchoris di produzione egizia da Tarquinia, un lebete bronzeo di produzione cipriota da Vulci, una coppa bronzea con decorazione a sbalzo di produzione fenicia da Vetulonia, un secchiello di produzione assira da Veio, scarabei e idoletti di terra smaltata di produzione egizia da vari centri etruschi. Quasi certamente questi materiali furono portati da mercanti fenici che, interessati ai minerali estratti nelle miniere della Spagna meridionale, già nel X secolo a.C. solcavano il Mediterraneo.

Sempre dai decenni centrali dell’VIII secolo a.C. un altro filone commerciale si muove dall’isola di Eubea verso il bacino occidentale del Mediterraneo, più precisamente verso le coste della fascia tirrenica, della Sicilia e della Sardegna. I segni più eloquenti sono offerti da vasi del servizio da vino, come la coppa o la brocchetta o il cratere, ottenuti al tornio, dipinti nello stile geometrico e usciti da botteghe euboiche. Quasi certamente con i vasi da vino saranno arrivati il vino (trasportato in otri), la cerimonia in cui si consuma il vino (il simposio) e l’ideologia (aristocratica) che vi sottende. Il fenomeno ha avuto conseguenze: in Etruria un’intensificazione dell’attività di scambio e un’acculturazione in senso ellenico del mondo locale.

Ma in Etruria, a cominciare dagli ultimi decenni dell’VIII e nei primi del VII secolo a.C., è segnalata anche una presenza massiccia di vasi da vino, che sono fabbricati in argilla estratta da cave del posto, sono realizzati al tornio e sono dipinti con motivi del repertorio geometrico euboico: verisimilmente opere di maestri di formazione euboica, che si sono trasferiti in Etruria (Vulci, Tarquinia, Caere, Veio) lavorando per la (ricca) clientela locale. Nel contempo, per spiegare la quantità di vasi etruschi da vino, si deve pensare a una produzione di vino in loco, che potrebbe essere stata favorita dall’arrivo di vignaioli greci, i quali avrebbero introdotto in Etruria la vite vinifera. È stato suggerito che in Etruria era conosciuto un vino locale fin dal IX secolo a.C. sulla base della presenza di vinaccioli in contesti di quel tempo e di vasi coevi che potevano far parte di servizi da vino, inoltre che nell’VIII secolo poteva essere arrivato vino dal vicino Oriente, ma è con l’importazione dall’Eubea che il vino in Etruria si carica di una valenza economica, sociale, antropologica.

Il tratto culturalmente più significativo dell’apporto euboico è dato dall’alfabetizzazione dell’Etruria: agli anni tra la fine dell’VIII e i primi del VII secolo a.C si datano le prime testimonianze iscritte; la tipologia delle lettere riporta al mondo greco, forse alle colonie euboiche dell’Italia meridionale. Buona parte delle iscrizioni etrusche del VII secolo a.C. sono su oggetti di materiale prezioso – ori, argenti, avori, ceramica dipinta, buccheri decorati - e contengono l’indicazione della proprietà dell’oggetto inscritto: ancora una volta un evento di grande importanza culturale, che coinvolge in forma diretta e quasi esclusiva il ceto magnatizio, è soprattutto un evento socio-economico.

Con il VII secolo a.C. la tomba di famiglia, o più precisamente gentilizia, si diffonde largamente. I tipi tombali comuni, oltre ai pozzetti e alle fosse isolate di tradizione villanoviana, sono a fossa entro un circolo di pietre (Vetulonia, Marsiliana d’Albegna) o a camera. La struttura si compone di un corridoio, che immette in diverse camere, disposte lungo l’asse orizzontale o lungo i lati. La tomba, scavata o costruita, è coperta da un grande tumulo, con un diametro che può raggiungere e a volte superare m 50, per cui assume un aspetto monumentale. L’opera presuppone provette competenze architettoniche e richiede un notevole costo di realizzazione. Si è detto di un modello sardo (secondo taluni) o anatolico (secondo altri), ma le premesse sociali e culturali sono locali: l’esistenza in Etruria di un ceto ricco che si autorappresenta con monumenti grandiosi, che alludono a un ruolo eroico del pater gentis e di rimbalzo degli appartenenti alla sua gens.

Il rito funebre più diffuso è l’inumazione; l’incinerazione, anche in tombe a fossa e a camera, può essere riservata a defunti illustri.

Per restare nell’ambito architettonico, alla capanna di età villanoviana si sostituisce la casa in muratura , composta da diversi vani. Evidentemente le esigenze della famiglia, in particolare di quella aristocratica, sono cresciute.

Nascono i primi palazzi magnatizi, ad esempio a Murlo (SI) o ad Acquarossa (VT), a pianta quadrangolare, articolati in diversi vani e ornati con terrecotte decorate a rilievo o a tutto tondo o a pittura. La capanna sopravvivrà come abitazione dei ceti inferiori.

Il movimento dei traffici aumenta sensibilmente in quantità e qualità.
Dalla Sardegna arrivano nei centri della costa tirrenica settentrionale prodotti peculiari, come spade o navicelle. Di queste ultime l’esemplare più ricco di elementi decorativi proviene dalla tomba del Duce di Vetulonia: chiaramente un pezzo destinato all’esportazione.
Dall’area baltica continua ad arrivare nell’Italia medio-adriatica e in Etruria l’ambra, che viene lavorata in diversi centri (Verucchio, Vetulonia, Veio, agro falisco).

L’ambiente che nel VII secolo a.C. ha inviato in Etruria i prodotti più prestigiosi è senza dubbio il Vicino Oriente. Non a caso la produzione artistica di quel periodo di varie regioni che si affacciano sul Mediterraneo si denomina orientalizzante, in quanto l’arte del Vicino Oriente ha funto da fonte di ispirazione prima o principale. A mo’ d’esempio si possono richiamare alcuni prodotti vicino-orientali importati in Etruria: gli avori di origine siriana e fenicia, le coppe d’oro o d’argento di origine fenicia, le brocchette d’argento e i candelieri d’origine cipriota, le patere bronzee a doppia parete e decorazione a sbalzo sulla parete esterna o i lebeti bronzei ornati da protomi animalesche e sostenuti da supporti decorati a sbalzo con animali ibridi di origine siriana, le ciotole baccellate di bronzo di origine assira, le fiaschette di origine egizia. Il quadro è destinato ad allargarsi se si tiene conto di prodotti destinati al consumo come tessuti, tappeti, incenso, spezie.

Ancora una volta i veicolatori saranno stati i mercanti fenici. Ma ancora più incisivo e qualificante è l’apporto di maestri che operano in settori in cui si lavorano materie, che non rientrano nella produzione locale: è il caso dell’avorio o dell’oro, due materie importate in Etruria dal Vicino Oriente. Con tutta probabilità sono arrivati insieme artigiani, esperti nelle rispettive tecniche di lavorazione, che hanno aperto botteghe, frequentate anche da aiutanti locali, i quali hanno trasmesso l’arte ad altri operatori e questi ad altri, assicurando l’attività nei settori per diversi secoli.

Negli anni a cavallo tra la fine dell’VIII e i primi del VII secolo gli Eubei vengono scalzati dai Corinzi nei traffici con il bacino occidentale del Mediterraneo. Il movimento di esportazione parte da Corinto e riguarda essenzialmente vasi dipinti del servizio da vino - tazze (kotylai, skyphoi), brocchette, olpai, crateri – e anforoni d’impasto per il trasporto del vino e, inoltre, unguentari – pissidi, aryballoi, alabastra -.

Se i vasi da vino propongono una linea continua con il passato più recente, gli unguentari sono una novità. Invero il traffico concerne in primo luogo il profumo contenuto in essi. Il fatto ammette, oltre che una produzione di olio nei luoghi d’origine, elemento basilare insieme con l’aceto e le erbe aromatiche nella preparazione dei profumi, l’innovazione in Etruria di una moda raffinata che mira alla cura della persona e che coinvolge essenzialmente il ceto benestante. Le fonti (Plin., Nat. Hist. XXXV 5, 16; XXXV 43, 152) parlano di maestri che, al seguito del ricco commerciante corinzio Demarato, intorno alla metà del VII secolo a.C. si sarebbero stanziati in Etruria e avrebbero operato nel campo della pittura, Ekphantos, e della coroplatica, Eucheir Diopos Eugrammos. I nomi sono chiaramente nomi d’arte e, proprio per ciò, il riferimento è, oltre che alla plastica (Eucheir: “colui che ha una buona mano”), alla pittura (Eugrammos: “colui che disegna bene”), all’architettura (Diopos: “colui che traguarda”).

La tradizione sarà molto più recente del VII secolo a.C., ma probabilmente fondata su dati acquisiti nell’antichità; ciò che conta rilevare è il riconoscimento da parte della critica d’arte antica della presenza di maestri ellenici nell’Etruria dell’età orientalizzante; maestri che, stranieri o indigeni, restano in posizione subalterna di grandi mercanti o di signori locali. Di Greci arrivati e integrati nella società etrusca, forse agenti di traffici, si hanno testimonianze eloquenti nella documentazione epigrafica: ad esempio Rutile Hipukrates a Tarquinia o Larth Telicle .

Il repertorio decorativo, che trova larga applicazione nella ceramica dipinta, nei buccheri incisi o a rilievo, negli avori a rilievo, nei bronzi e negli ori laminati, conserva elementi geometrici di ascendenza villanoviana, ma si arricchisce di motivi vegetali e animali, di origine vicino-orientale (fiore di loto, palmetta, albero della vita; grifo, sfinge, leone, cervo, cavaliere) ed ellenica (centauro, chimera). Comincia a diffondersi la scena narrativa e mitologica: le relative iconografie, anche se di origine allotria, il più delle volte vengono non replicate pedissequamente, ma rielaborate e ricaricate di nuovo significato relativo all’ideologia dei destinatari degli oggetti figurati.

Molti dei reperti importati o prodotti localmente sono beni suntuari, si riportano a manifestazioni di lusso che vanno dalla toilette all’ornamento della persona o al simposio: è lo stile di vita degli aristocratici. Spesso gli stessi oggetti, in particolare quelli esotici, si rinvengono nei santuari ellenici o nei palazzi reali vicino-orientali; in altre parole, i signori etruschi sono sullo stesso piano di un santuario, che è luogo di culto e anche tesoreria, o di un sovrano. Questi signori, in verità non molti, sono i detentori del potere economico e politico.

I vasi importati in Etruria innovano usi nuovi, come il simposio o la toilette, e inoltre sono uno stimolo per i maestri locali a rinnovare il repertorio delle forme vascolari. Si producono vasi analoghi a quelli importati, vasi che ovviamente hanno la stessa funzione di questi ultimi. Il fatto pone qualche problema: la replica in bucchero o in metallo di vasi del servizio da vino corinzi, ad esempio le kotylai o le olpai o le brocchette o i crateri, comportano un loro impiego “alla greca” e allora i destinatari erano greci integrati nella società etrusca o etruschi acculturati in senso greco? È difficile dare una risposta, comunque nell’uno e nell’altro caso c’è da ammettere una mobilità umana e culturale, che coinvolge essenzialmente il ceto ricco.

A questo punto diventa urgente riprendere il discorso di una contropartita etrusca, in grado di far fronte a un movimento d’importazione decisamente massiccio. I prodotti delle risorse agricole e minerarie costituiscono senza dubbio il mezzo di scambio primario. Nel contempo l’artigianato locale consegue progressi tecnici e qualitativi, per cui i manufatti etruschi vengono apprezzati anche fuori del luogo di produzione. Bronzi sono stati rinvenuti in grandi santuari greci, altri bronzi invece in corredi tombali di diverse località dell’Europa centrale:

Il prodotto che lancia l’Etruria in un circuito commerciale larghissimo è il vino. A cominciare dalla seconda metà del VII secolo a.C. e per i due secoli successivi anforoni da trasporto e vasellame del servizio da vino di bucchero e di ceramica etrusco-corinzia – kantharoi, coppe, attingitoi, brocchette – sono stati rinvenuti in tante località del bacino del Mediterraneo, dalla foce dell’Oronte in Siria fino alle Colonne d’Ercole (Stretto di Gibilterra) e sulle coste atlantiche della penisola iberica. La maggiore concentrazione si registra nelle località costiere della Provenza e della Linguadoca. Alcuni kantharoi di bucchero sono stati rinvenuti in santuari greci, uno dal santuario di Perachora riporta un’iscrizione dedicatoria in greco da parte di un greco (Nearchos). Di notevole interesse è la scoperta, sulla strada che andava da Corinto al porto del Lechaion, del magazzino di un mercante che conservava vasi greci e buccheri etruschi, destinati ad essere venduti con ogni probabilità a clienti locali. Attestata, anche se in forma più contenuta, è l’esportazione di unguenti e profumi contenuti in vasetti ceramici della classe etrusco-corinzia.

Il movimento parte da centri dell’Etruria meridionale, in particolare Caere e Vulci, e coinvolge anche usanze (aristocratiche) del bere ”all’etrusca” e della toilette.

Intorno al 630 a.C. arrivano a Vulci due ceramografi, i pittori delle Rondini e della Sfinge Barbuta, rispettivamente da Rodi e da Corinto: due maestri di formazione diversa, che a Vulci si influenzeranno a vicenda. Il primo non farà scuola. Il secondo avrà allievi e continuatori per alcune generazioni fino agli anni intorno alla metà del VI secolo a.C. e tutti contribuiranno all’affermazione della tecnica a figure nere nella ceramica e alla promozione della scena narrativa.

Nella seconda metà del VII secolo a.C. gli artigiani, che intanto hanno conseguito una professionalità sempre più qualificata, lavoreranno non più soltanto per i principi, ma anche per una clientela più larga (e meno ricca e meno esigente). Essi possono essere chiamati a lavorare anche fuori del luogo d’origine: si pensi ai fabri, chiamati a Roma nella seconda metà del VI secolo a.C. da Lucio Tarquinio il Superbo, per il tempio di Giove Capitolino (Liv. I 56, 1).

Nasce il ceto medio. Il ceto ricco non scomparirà, ma la ricchezza sarà più contenuta e sarà distribuita su scala più larga. Ora alcuni villaggi scompaiono, la popolazione viene concentrandosi in abitati piuttosto estesi, lo spazio urbanizzato è diviso funzionalmente (quartieri abitativi, quartieri artigianali), negli abitati si realizzano diversi servizi che interessano la comunità (impianto urbanistico regolare, pavimentazione stradale, fognatura, mura urbiche, tempio per le riunioni di carattere religioso, piazza per le riunioni di carattere profano). Anche gli scambi commerciali si svolgono non più privatamente fra individui di elevato rango sociale e in ambito domestico, secondo la forma della prexis di tradizione omerica, ma nei porti, controllati dalla comunità cittadina e messi sotto la protezione di divinità (fra le infrastrutture del porto sono previste aree sacre): gli esempi di Gravisca, porto di Tarquinia, e di Pyrgi, porto di Caere, con le rispettive aree sacre, sono eloquenti. Ormai è nata la città: una nuova entità politica, amministrativa, sociale, che presuppone una nuova ideologia.
Di Giovannangelo Camporeale tratto dal catalogo della mostra con l'omonimo titolo ed. Polistampa


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Pagina pubblicata il 11 06 2007-2009 - Aggiornato il 02-Giu-2015